Un manoscritto attribuito a Yahya Sinwar delinea con sorprendente chiarezza un’operazione concepita non per colpire obiettivi militari, ma per violare il confine, penetrare in profondità e infliggere un trauma collettivo. Datato agosto 2022, non è un elenco di intenzioni: è un piano operativo che dettaglia inganni, punti d’infiltrazione, ondate di attivazione e obiettivi selezionati per massimizzare shock e terrore. Dietro il 7 ottobre non c’è l’istinto di una folla né la furia improvvisa; c’è una scelta strategica maturata per mesi e tradotta in ordini.
La lettura colpisce non solo per ciò che annuncia, ma per la freddezza della costruzione. Il linguaggio è tecnico: tempi di reazione, catene di comando, vie di fuga. Nessuna retorica della battaglia, ma una grammatica del massacro: un calcolo che decide dove, quando e come seminare devastazione per ottenere l’effetto psicologico voluto — panico, paralisi, disorientamento pubblico.
Il documento colloca l’azione oltre la Striscia: non gesto isolato, ma parte di un orizzonte più ampio di coordinamenti e influenze, con interlocuzioni esterne. Volente o nolente, illumina la natura politica e militare della radicalizzazione: non reazione a un evento contingente, bensì pianificazione di una campagna di rottura.
Ciò non assolve altre responsabilità. L’esistenza di un piano non rende inevitabili le falle che l’hanno reso eseguibile; indica però vulnerabilità sfruttate con metodo. L’aspetto più inquietante è la scelta dei target: non solo in chiave tattica, ma simbolica. Civili, pubblicità del massacro, immagini destinate a restare nella memoria come prova di impotenza e orrore. L’obiettivo era amplificare il danno oltre il campo fisico, trasformarlo in trauma collettivo.
Per chi racconta, indaga, giudica, il valore di un simile manoscritto è duplice: offre elementi concreti su responsabilità e intenzioni; impone una domanda etica e pratica insieme. Che cosa fa una democrazia per impedire che piani così si traducano in carne? Prevenzione, intelligence, cooperazione regionale e internazionale non possono restare parole: la pianificazione documentata esige risposte misurabili, non slogan.
La memoria di quel giorno non può fermarsi al conteggio dei corpi. Deve includere l’analisi dei piani, la ricostruzione degli ingranaggi che li hanno messi in moto e un confronto severo con le debolezze che li hanno resi possibili. Solo riconoscendo la natura deliberata e organizzata dell’attacco si può ridurre la probabilità che il teatro del crimine si ripeta. È da qui che deve partire chi cerca verità e giustizia.
Ordini di sterminio. Il piano scritto di Yahya Sinwar
Ordini di sterminio. Il piano scritto di Yahya Sinwar
Abu Mazen, il pugile suonato della politica mediorientale