Alla fine degli anni Quaranta, mentre il neonato Stato di Israele cercava letteralmente di sopravvivere, un’altra storia prendeva forma dietro le quinte del mondo arabo: lo sradicamento degli ebrei yemeniti. Villaggi interi, comunità antiche di secoli, famiglie che non avevano mai lasciato le loro montagne si trovarono braccate da persecuzioni e pogrom. Israele capì che non c’era più tempo. Tra il 1949 e il 1950 organizza una delle operazioni più audaci e commoventi della sua storia: un ponte aereo segreto che porterà quasi 50.000 ebrei dallo Yemen al nuovo Stato.
Il nome era Operazione Tappeto Volante, e in un certo senso lo fu davvero. Aerei della Alaska Airlines vennero reclutati in gran segreto, costretti a decollare e atterrare su piste improvvisate, sfiorando ogni limite tecnico. I passeggeri, molti dei quali non avevano mai visto un veicolo a motore, salirono scalzi, stringendo Torah, culle fatte a mano, libri di preghiere consumati. Erano convinti che “le ali d’argento” li stessero portando a Gerusalemme per miracolo, e non avevano tutti i torti: ci vollero accordi clandestini, tangenti, e un’organizzazione logistica fuori scala per strappare quelle persone al baratro.
Quando il ponte aereo terminò, Israele era cambiato. Lo Yemen ebraico si era trasferito sulle colline della giovane democrazia, trasformandola in qualcosa di più vasto e complesso. L’operazione fu un trionfo logistico, ma soprattutto una scelta morale: salvare un popolo dimenticato dal mondo. Una pagina di storia che ricorda che la sopravvivenza ebraica non è mai stata un accidente, ma un atto di volontà incrollabile.
Operazione Tappeto Volante

