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Operazione Beeper. L’intelligenza come arma letale

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 4 min
Operazione Beeper. L’intelligenza come arma letale

C’è un momento, nel racconto dei due ufficiali israeliani che hanno coordinato l’Operazione Beeper, in cui la voce si incrina. Uno di loro dice: «Dopo i cercapersone, mia zia mi ha confidato che era la prima volta che riusciva a dormire in pace». Non poté però dirle — per un vincolo di segretezza assoluta — che di quell’operazione lui era uno dei protagonisti. Ed è proprio in quella frase che si condensa il senso di un’operazione durata oltre dieci anni, pensata in silenzio e condotta con una freddezza che ha dell’incredibile.

Il 17 settembre 2024, alle 15:30, migliaia di cercapersone esplosero simultaneamente in Libano e in Siria. Erano nelle mani dei miliziani di Hezbollah, nei loro uffici, nelle basi, persino nelle tasche di chi era in strada. Il giorno dopo toccò alle radio. Decine di morti, migliaia di feriti, una catena di comando tagliata di netto. Ma il punto non fu solo la potenza dell’attacco: fu la precisione chirurgica, la capacità di fondere tecnologia, pazienza e intelligenza strategica.

L’idea nacque dal Mossad e fu poi sviluppata con la Direzione dell’Intelligence Militare. Anni di analisi, test, valutazioni. Gli ufficiali raccontano riunioni in cui ogni dettaglio veniva soppesato: il rischio di un’anticipazione, la necessità di non farsi scoprire, la scelta di colpire nel momento in cui l’uso dei cercapersone era più diffuso e quindi più devastante. In Israele, centinaia di persone ne conoscevano l’esistenza, ma solo una cerchia ristretta sapeva davvero di cosa si trattasse. Tutto passava per livelli di segretezza severi, approvazioni personali, perfino test con la macchina della verità.

Quando il segnale partì, in una base operativa del nord regnò un silenzio quasi religioso. Poi le prime notizie: esplosioni in serie nelle roccaforti di Hezbollah, comunicazioni interrotte, ambulanze impazzite. Hezbollah pensò inizialmente a un attacco aereo. Solo dopo capì che l’arma era già nelle sue mani, letteralmente. Fu il caos. Nei giorni successivi, l’organizzazione interruppe le comunicazioni, proibì l’uso dei dispositivi elettronici, diffidò dei fornitori, cominciò a vedere spie e sabotaggi ovunque. «Avevano paura dei condizionatori», racconta uno degli ufficiali.

L’effetto psicologico fu enorme: una perdita di fiducia interna che paralizzò le capacità operative e la catena di comando. A quel punto, le Forze di Difesa Israeliane lanciarono la seconda fase: l’Operazione «Nuove Date», che colpì oltre 1.600 obiettivi armati, fino all’eliminazione di alti comandanti della forza Radwan e dello stesso Hassan Nasrallah. Hezbollah, per la prima volta, si trovò a dover riconoscere una sconfitta tattica e morale.

A colpire, più delle cifre, è la lucidità con cui Israele ha saputo trasformare l’intelligenza in arma. L’Operazione Beeper è stata una lezione di disciplina e di freddezza: nulla di spettacolare, nessuna esibizione, ma la ferrea convinzione che la sicurezza non è mai un dono — è sempre una conquista. È la stessa logica che guida un popolo abituato a essere demonizzato per il solo fatto di difendersi.

Perché mentre Israele perfezionava una delle operazioni più complesse della sua storia, centinaia di migliaia di cittadini occidentali — e oggi anche italiani — sfilavano nelle piazze gridando slogan che assolvono gli assassini e insultano le vittime. Senza neppure accorgersi di essere, spesso inconsapevolmente, arruolati in un esercito che simpatizza con chi nega la libertà, la vita e la verità.

Eppure Israele continua. Non per orgoglio, ma per necessità. Continua a studiare, a innovare, a reagire. A rispondere con la testa dove altri usano solo la voce. La resilienza israeliana non è una parola da manuale: è un gesto quotidiano, una forma di disciplina morale. È la certezza che la forza non nasce dall’odio, ma dal dovere di difendere la vita — anche quando il mondo intero sembra non capire da che parte stia la luce.


Operazione Beeper. L’intelligenza come arma letale
Operazione Beeper. L’intelligenza come arma letale