Home > Approfondimenti > Onu, la vergogna delle parole della signora Alsalem

Onu, la vergogna delle parole della signora Alsalem

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 4 min
Onu, la vergogna delle parole della signora Alsalem
Onu, la vergogna delle parole della signora Alsalem

Anche se del Palazzo di Vetro è ormai rimasta solo una cartolina d’epoca, le dichiarazioni della signora Reem Alsalem – rappresentante speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne – rappresentano un ulteriore colpo alla tragedia del pogrom per mano degli assassini di Hamas. Il suo post su X, dove sostiene che «nessuna commissione d’inchiesta indipendente ha rilevato uno stupro il 7 ottobre» (riferendosi all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023) e che «nessun palestinese a Gaza ha esultato per lo stupro», non è solo un errore di valutazione ma un’intollerabile ferita aperta inflitta alle vittime, alla verità, alla stessa funzione dell’ONU che continua a spacciarsi come custode della responsabilità internazionale.

La frase «La mia dichiarazione è di nuovo deliberatamente distorta» con cui Alsalem ha poi cercato di difendersi – senza però cancellare il post – appare come una toppa peggiore del buco. Evidentemente all’ONU bisognerebbe ricordare che lo scopo della giustizia non è solo investigare, ma rendere conto e tutelare chi ha sofferto.

La documentazione drammatica e disponibile indica che l’attacco del 7 ottobre non è stato soltanto una mattanza – che già di per sé è un crimine – ma, in numerosi casi, un attacco con una componente di aggressione sessuale sistematica, deliberata ed esibita con orgoglio sadico. Secondo il rapporto dell’Association of Rape Crisis Centers in Israel, decine di testimonianze «presentano un quadro inequivocabile di identici schemi di azione»: abusi sessuali, minacce con armi, stupri di donne ferite all’interno delle abitazioni private o nei kibbutz attaccati. Un altro dossier – quello del Dinah Project della Bar-Ilan University – afferma che quegli atti non furono incidentali ma parte di un progetto criminale: nudità forzata, violenza sessuale, mutilazioni genitali, sfruttamento dei corpi come trofei.

Anche una commissione dell’ONU, la Independent International Commission of Inquiry on the Occupied Palestinian Territory, nel suo rapporto del 12 giugno 2024 ha affermato che la frequenza, la gravità e la diffusione degli abusi – pur non potendo verificare in ciascun caso lo stupro per motivi di accesso ai luoghi – indicano «un modello indicativo di violenza sessuale» perpetrata da forze palestinesi quel giorno.

Eppure, la signora Alsalem afferma che nessuna indagine indipendente ha riscontrato stupri. Quale indipendenza, quale indagine, quale responsabilità – ci si chiede – quando la tragedia è stata istruita davanti al mondo e i pezzi emersi sono molteplici, seppure con difficoltà oggettive nella raccolta forense delle prove?

Non si tratta di entrare in un dibattito tecnico sulla standardizzazione della prova ma, semmai, di chiedere a un’istituzione che ha come mandato la protezione delle donne e delle ragazze in ogni contesto di non girarsi dall’altra parte, di non sminuire, di non negare. Perché nel negare, si insabbia la dignità delle vittime e si consente l’impunità. Il risultato è che la credibilità dell’ONU si erode, e con essa la speranza che, in scenari terribili, ci sia un avamposto di giustizia.

L’ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Danon, ha definito le parole della signora Alsalem «una macchia sulla reputazione dell’ONU … un insulto alle vittime e alle loro famiglie».

L’effetto di quelle parole è quanto meno devastante: lascia nel limbo le vittime, le relega in un vago e vile «forse è accaduto ma non lo sappiamo», laddove l’accertamento della verità richiede che si prenda sul serio la testimonianza, si raccolgano le prove, si riconosca il danno e si assicuri che non resti impunito.

Sì, è vero che in condizioni di guerra è difficile ottenere ogni pezzo di prova, che i corpi sono sepolti, distrutti, le scene contaminate. Ma la difficoltà non è mai stata né potrà mai essere motivo per tacere, bensì il suo contrario: insistere, cercare, denunciare. In questo senso, l’ONU ha il dovere di fare di più, non di meno.

Quando la custode della tutela delle donne in conflitto preferisce affermare che «nessuna commissione indipendente ha riscontrato lo stupro» mentre – di fatto – rapporti autorevoli documentano che sì, vi sono «ragioni ragionevoli di credere» a rapimenti, stupri, mutilazioni, allora si attiva un veleno sociale. Il veleno dell’impunità, della delegittimazione della testimonianza, del silenzio ufficiale. La battaglia per riconoscere la violenza sessuale in conflitto non è solo un atto formale ma tocca la nostra idea di civiltà. Se permettiamo che l’orrore venga negato o sminuito – in nome di un politicamente corretto piegato al potere – consegniamo le vittime a un’assenza di giustizia. Un dramma che moltiplica quello che lo ha generato.


Onu, la vergogna delle parole della signora Alsalem

Peled: «La nostra sfida è l’opinione pubblica». Oggi a Roma il congresso Italia-Israele