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ONG, fondi e ombre su Gaza: l’Europa costretta ad aprire il vaso di Pandora

Rosa Davanzo

Tempo di Lettura: 3 min
ONG, fondi e ombre su Gaza: l’Europa costretta ad aprire il vaso di Pandora

A Bruxelles il gelo è calato all’improvviso, come quando si spalancano porte che avrebbero dovuto restare chiuse. L’iniziativa dell’eurodeputata Marion Maréchal – che chiede l’intervento dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode e della Procura nazionale antiterrorismo francese – arriva senza preavviso, con un tempismo che affonda nella materia incandescente del Medio Oriente.
Al centro, una questione che l’Europa ha sempre preferito sfiorare da lontano: la possibilità che fondi comunitari destinati a progetti umanitari nella Striscia di Gaza siano stati utilizzati per favorire, direttamente o indirettamente, il rafforzamento militare di Hamas.

Le accuse nascono da documenti interni del movimento islamista, rinvenuti dall’esercito israeliano dopo il 7 ottobre 2023 e trasmessi a NGO Monitor, organizzazione affiliata al Jerusalem Center for Public Affairs, che li ha condivisi con Euractiv. Il quadro che emerge è inquietante: un sistema di infiltrazione metodico, pensato per monitorare, influenzare o in alcuni casi orientare ONG internazionali attive sul territorio, incluse quelle finanziate da Bruxelles.
Nel linguaggio tecnico delle analisi, si parla di “garanti”: intermediari locali incaricati di vigilare sui progetti, condizionarne l’esecuzione o addirittura assumerne la guida.

Fra le organizzazioni coinvolte nelle carte figura Oxfam, che in un progetto europeo di irrigazione degli alberi da frutto avrebbe collaborato con Rai-Consult Company, società considerata vicina a Hamas. Il terreno scelto ricadeva in una zona sensibile, ai margini della Striscia, dove perfino un filare di alberi può trasformarsi in vantaggio tattico.
Secondo il ministero dell’Interno del movimento, quelle piantumazioni avrebbero potuto offrire copertura alle attività della “resistenza”. NGO Monitor è esplicita: il progetto sarebbe stato strutturato in modo da preservare e occultare posizioni operative utili agli uomini del gruppo palestinese.

Oxfam respinge ogni accusa. Rivendica controlli interni, audit esterni sui partner locali e afferma che nessuna verifica abbia mai evidenziato legami con Hamas o altri gruppi armati. Sostiene inoltre che il movimento non eserciti alcuna influenza sulle proprie attività. Una difesa netta, ma ora insufficiente a sedare il clamore politico.

Perché la vicenda non riguarda un singolo progetto agricolo né una singola ONG: mette in discussione il rapporto tra l’Unione Europea e le sue politiche di finanziamento nei teatri più instabili del mondo. Se anche una frazione dell’aiuto umanitario risultasse sfruttabile da un gruppo armato, il danno sarebbe doppio: morale e strategico.
È esattamente il punto sollevato da Maréchal, convinta che responsabilità politiche e amministrative debbano essere individuate senza esitazioni.

In una fase in cui l’Europa oscilla tra il dovere di soccorrere le popolazioni civili e il rischio di alimentare apparati militari ostili, la vicenda illumina le fragilità del sistema. Le ONG restano indispensabili, ma devono interrogarsi sui propri metodi di lavoro in territori dove nulla è neutro. L’Unione, dal canto suo, dovrà decidere se continuare a investire con gli stessi strumenti o se ridefinire l’intero impianto dei controlli.

Il caso è soltanto all’inizio. Ma una cosa è chiara: Gaza non è solo un campo di battaglia. È il luogo dove la trasparenza europea è chiamata a misurarsi con le macerie della guerra. E questa volta nessuno potrà distogliere lo sguardo.


ONG, fondi e ombre su Gaza: l’Europa costretta ad aprire il vaso di Pandora
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