Nel sud-est di Teheran, dentro il complesso militare di Parchin, la polvere si alza di nuovo. Le immagini satellitari mostrano operai, mezzi, cantieri in espansione. Lì dove un anno fa un raid israeliano aveva distrutto il sito Talgan-2 — uno dei luoghi più sorvegliati del programma nucleare iraniano — è in corso una ricostruzione accelerata: lavori avviati a maggio e mai interrotti. A fine estate, le foto dall’alto rivelano già una struttura ad arco di oltre quaranta metri, affiancata da due edifici minori e da un quarto in completamento.
Non è chiaro cosa stia sorgendo, ma è chiaro cosa sia Parchin: il cuore storico dei progetti militari più segreti, dai test di esplosivi ad alto potenziale alle ricerche del programma “Amad”, sospeso ufficialmente nel 2003 e mai davvero dismesso. La nuova architettura — tetti ad arco, terrapieni protettivi — non somiglia a un normale impianto industriale: somiglia a un bunker.
Gli analisti notano un dettaglio decisivo: l’ingegneria delle strutture è disegnata per resistere a futuri bombardamenti. È la stessa logica già vista a Fordow e Natanz, dove Teheran ha interrato i reattori per difenderli da attacchi israeliani. Ogni colpo diventa un capitolo di rinascita: Israele distrugge, l’Iran ricostruisce — più in profondità, più nascosto, più difficile da colpire.
Sul piano diplomatico, la Repubblica islamica dichiara di «non avere interesse» per armi nucleari e di voler sviluppare solo capacità energetiche. Ma il linguaggio dei cantieri racconta altro: tetti rinforzati, strutture gemelle, distanze simmetriche — segnature tipiche dei poligoni di test, non di una centrale civile.
C’è anche la tempistica. La ricostruzione è partita poche settimane prima della breve guerra dei Dodici Giorni tra Israele e Iran e non si è mai fermata. Il messaggio è limpido: l’ambizione strategica resta intatta. La comunità internazionale, incagliata tra sanzioni inefficaci e negoziati rinviati, osserva impotente.
A Teheran, la tv di Stato rivendica «autonomia tecnologica» e «risposta al sabotaggio sionista». Dietro la propaganda, però, emerge un’evidenza: l’Iran ha imparato a sfruttare le lacune del sistema di controlli dell’Agenzia per l’Energia Atomica, muovendosi negli interstizi legali. Basta cambiare la destinazione dichiarata di un impianto, spostare un laboratorio, riqualificare una struttura come “industriale” anziché “militare”, e la verifica si complica.
Gli Stati Uniti oscillano tra minaccia e cautela: nessuno a Washington vuole aprire un nuovo fronte, ma nessuno può ignorare che la soglia tecnologica per la bomba si sia ridotta a pochi mesi. Israele lo sa e ribadisce la propria dottrina: impedire a ogni costo che Teheran diventi potenza nucleare.
La nuova attività a Parchin è più di un cantiere: è un segnale politico. Dice che la deterrenza israeliana non basta e che le sanzioni non funzionano; dice che la guerra ombra — sabotaggi, virus informatici, droni, attentati mirati — non ha chiuso il capitolo nucleare, lo ha reso permanente.
Mentre radar scrutano il deserto e satelliti tracciano ogni ombra, la sensazione è che il tempo scorra contro. L’Iran non annuncia, costruisce; non minaccia, prepara. E ogni edificio che risorge a Parchin è una riga in più nel promemoria di ciò che il mondo non ha voluto fermare per tempo.
Ombre atomiche su Parchin: l’Iran ricostruisce il cuore segreto del suo programma nucleare
Ombre atomiche su Parchin: l’Iran ricostruisce il cuore segreto del suo programma nucleare
Ombre atomiche su Parchin: l’Iran ricostruisce il cuore segreto del suo programma nucleare

