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Oltre Nostra Aetate: dialogo, identità e le ombre del nuovo antigiudaismo

Massimo De Angelis

Tempo di Lettura: 4 min
Oltre Nostra Aetate: dialogo, identità e le ombre del nuovo antigiudaismo

Nei giorni scorsi, come avviene ormai da quarantacinque anni, si sono svolti a Camaldoli i Colloqui ebraico-cristiani. Incontri di dialogo a partire da temi biblici e teologici, che ribadiscono ogni volta quanto sia essenziale il piano interreligioso: tra ebrei e cristiani, certo, ma anche con l’Islam e con le altre tradizioni religiose.

Il titolo di quest’anno — Oltre Nostra Aetate — richiamava il sessantesimo anniversario del documento conciliare che aprì una nuova stagione nei rapporti tra Chiesa cattolica e mondo ebraico. Ma al centro delle riflessioni è inevitabilmente entrato anche il 7 ottobre e ciò che ne è seguito. La tavola rotonda inaugurale, con Noemi Di Segni, Milena Santerini e l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Yaron Sideman, ha fissato immediatamente il tono.

È emerso con chiarezza come sia improprio leggere gli eventi attuali come uno “scontro tra nazionalismi”. La frattura è un’altra: quella tra Israele e l’odio jihadista, fatto proprio da Hamas e diffuso in ampi settori della società palestinese, un odio che continua a negare l’esistenza del popolo ebraico e a minacciarne la sopravvivenza.
Di conseguenza, risulta insostenibile la separazione tra antisemitismo e antisionismo. L’identità ebraica — il popolo (Am Israel) e la terra (Erez Israel) — è inscindibile, come l’anima dal corpo. Per quale popolo non lo sarebbe? Un ebraismo privo di radicamento, puramente spirituale, sarebbe destinato a spegnersi.

In questo quadro è importante quanto affermato nel recente volume in 24 schede Per conoscere l’ebraismo, pubblicato dalla Conferenza episcopale italiana insieme all’UCEI, dove tale inscindibilità religiosa e storica viene riconosciuta in modo esplicito.

Il legame tra antisionismo e antisemitismo fatica a essere compreso in Occidente — soprattutto in Europa — dove una certa cultura progressista, universalista in maniera unilaterale, stenta a riconoscere la relazione tra identità religiosa, culturale e territoriale. E scambia il desiderio di essere nazione per “nazionalismo” in senso negativo.
Allo stesso modo, questa visione fatica a cogliere l’evidente rapporto tra wokismo, cancel culture e jihadismo. Una connessione analizzata in profondità da rav Roberto Della Rocca, che ha ricollegato l’ostilità odierna verso Israele ai residui dell’antigiudaismo cristiano: il ritorno degli stereotipi del “Dio duro” dell’Antico Testamento contrapposto al “Dio buono” del Nuovo, dell’ebreo crudele contrapposto al palestinese idealizzato. Stereotipi che hanno una funzione precisa: oscurare il male e l’odio annientatore del jihadismo, al quale i palestinesi vengono educati fin dall’infanzia e che è il principale ostacolo a qualsiasi pace reale.

La pace, infatti, presuppone la capacità di concepire l’universalità degli esseri umani come armonia di differenze, non come omologazione a un modello unico di civiltà.
Se il vecchio antigiudaismo si fondava sull’idea della sostituzione — il cristianesimo al posto dell’ebraismo — l’antiebraismo contemporaneo nasce dall’incapacità di rispettare e valorizzare le differenze come unica via alla riconciliazione.

Tutto questo richiede oggi un atteggiamento consapevole e responsabile, ottant’anni dopo Auschwitz e sessant’anni dopo Nostra Aetate. Ricordare la Shoah il 27 gennaio sarebbe un esercizio difettoso, persino ipocrita, se non lo si collegasse a quanto sofferto oggi da Israele a causa di un jihadismo anch’esso — come il nazismo — genocidario.
Rifiutarsi, come fa il Partito Democratico, di approvare una legge sull’antisemitismo proprio mentre in Italia crescono in modo esponenziale aggressioni e delitti antiebraici, e al tempo stesso sostenere movimenti pro-Pal, è una contraddizione grave. Una tara che stride con la partecipazione alle cerimonie del Giorno della Memoria.

In questo senso, il modo in cui quest’anno si celebrerà — o non si celebrerà — il 27 gennaio, e lo spazio che verrà dato nelle scuole e nelle università al documento Cei-Ucei sull’ebraismo, saranno una cartina di tornasole decisiva per capire se l’Italia rifiuta davvero ogni forma di antisemitismo. Oppure se continua a tollerarne nuove, più sofisticate mutazioni.


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