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Ocasio-Cortez, il nuovo volto del progressismo americano

Andrea Molle

Tempo di Lettura: 5 min
Ocasio-Cortez, il nuovo volto del progressismo americano

Alexandria Ocasio-Cortez si trova forse oggi in un momento di trasformazione, e maturazione, politica che ha attirato l’attenzione sia dei suoi sostenitori più radicali sia dei suoi critici.

Il recente voto contro l’emendamento di Marjorie Taylor Greene, che avrebbe eliminato 500 milioni di dollari destinati al sistema di difesa Iron Dome, è stato interpretato da molti come un segnale di pragmatismo, se non addirittura di un progressivo allontanamento dalla linea più intransigente della cosiddetta Squad.

Ma non dobbiamo nemmeno illuderci troppo. AOC ha immediatamente dichiarato che la sua scelta non equivale a un sostegno incondizionato a Israele. A parole, la congresswoman continua infatti a denunciare con forza le offensive israeliane a Gaza, che ha definito a più riprese un “genocidio”, ma al tempo stesso sembra segnalare la posizione che togliere fondi a un sistema puramente difensivo sia una mossa ideologica e inefficace a mantenere la stabilità dell’area.

La sua posizione nei confronti di Gerusalemme resta dunque sostanzialmente critica, ma non si spinge fino al punto di negare il diritto di Israele a esistere o a difendersi, un tema che divide sempre di più la sinistra americana, e in particolare i suoi alleati più radicali. E questo è un elemento molto importante.

Questa postura non è però del tutto nuova. Già nel 2021 AOC aveva scelto di astenersi su un pacchetto di circa un miliardo di dollari destinati all’Iron Dome, spiegando che il problema non era la difesa israeliana in sé, quanto piuttosto il modo in cui il Congresso approvava fondi militari senza un adeguato dibattito.

Quella decisione aveva creato malumori tra i progressisti più estremi, ma aveva anche segnalato il passaggio della giovane rappresentante newyorchese a linea politica che cercasse di distinguere tra ciò che può essere considerato un sostegno legittimo alla sicurezza di Israele e ciò che, per il suo elettorato, alimenta la macchina offensiva che colpisce i civili palestinesi. In questa prospettiva, il voto del luglio 2025 appare come una continuità piuttosto che una rottura, anche se il contesto politico è cambiato e la polarizzazione interna al Partito Democratico è oggi più evidente e rende questa scelta infinitamente più coraggiosa e forse più carica di significati politici.

Certo, non si può poi ignorare il fatto che la mozione fosse stata avanzata da Marjorie Taylor Greene, un’esponente di punta del mondo MAGA. Appoggiare quell’emendamento avrebbe significato dare un segnale di convergenza con una narrativa repubblicana estremista, e AOC non ha probabilmente voluto fornire un’arma politica ai suoi avversari.

Questo calcolo tattico si somma tuttavia alle considerazioni elettorali locali. Il suo distretto di New York City è un mosaico di comunità ebraiche sensibili alla sicurezza di Israele e gruppi arabi e progressisti che vedono la politica israeliana come oppressiva. Prendere una posizione troppo estrema avrebbe rischiato di alienare uno di questi blocchi, con conseguenze concrete sulla sua carriera politica. È plausibile che AOC stia cercando di costruirsi un profilo che vada oltre l’immagine della giovane leader della sinistra radicale, puntando a un ruolo di maggiore influenza nazionale che richiede anche la capacità di non chiudersi in un angolo ideologico.

Questo tentativo di equilibrismo politico ha comunque provocato reazioni violente. Il suo ufficio a New York è stato vandalizzato e AOC ha ricevuto minacce di morte da attivisti pro-Palestina. La sinistra più estrema, inclusi i Democratic Socialists of America, l’ha accusata di tradire la causa palestinese e di aver scelto di difendere, seppur indirettamente, la “macchina bellica israeliana”. Ma la realtà è che AOC non ha cambiato idea sul conflitto e resta una voce critica contro il Governo Netanyahu. È solo non è più disposta, o interessata, a sacrificare i sistemi difensivi, come l’Iron Dome, che considera strumenti legittimi per evitare vittime civili anche tra gli israeliani.

In questa evoluzione si intravede molto anche una crescente tensione interna con la Squad, che non si limita al tema di Israele ma che si è già vista in recenti primarie dove AOC si è ben guardata dall’appoggiare candidati estremisti sostenuti dal gruppo. Se Rashida Tlaib e Ilhan Omar ora spingono per un taglio totale degli aiuti militari, sulla base dell’assunto che Israele non ha diritto di esistere, AOC sta tracciando una linea che, pur restando progressista, è meno dogmatica e de facto riconosce il diritto all’esistenza dello Stato Ebraico.

Attenzione però. Tutto questo non significa che l’astro nascente del Partito Democratico stia diventando filo-israeliana, ma bisogna ammettere che stia cominciando a riconosce la complessità di un conflitto in cui la sicurezza di uno Stato non può essere ridotta a un semplice slogan. Questo potrebbe segnare un primo passo verso un posizionamento più autonomo, capace di distinguersi non solo dalla destra repubblicana, ma anche dalla sinistra più ideologica.

Questo voto va dunque letto nel quadro di una strategia politica più ampia. Se questa strategia la porterà a un maggiore consenso o a un isolamento all’interno della sua stessa base resta da vedere, ma è chiaro che AOC non è più solo la giovane deputata ribelle della Squad: è una leader che sta cercando di costruirsi una dimensione politica più matura, capace di affrontare questioni complesse senza rifugiarsi nei toni facili della militanza.



Ocasio-Cortez, il nuovo volto del progressismo americano
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