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Obiettivo: sionismo da annientare

a cura di Nicoletta Ferragni

Tempo di Lettura: 3 min
Obiettivo: sionismo da annientare

Finalmente qualcuno dice ad alta voce ciò che molti fingono di non sentire. In un talk show del canale arabo Al-Hiwar, con sede a Londra e andato in onda il 13 novembre 2025, un gruppo di accademici palestinesi discute “la fine del sionismo”. Uno di loro, identificato come Aqtash, davanti alle telecamere scandisce la frase che taglia ogni alibi: «Il nostro obiettivo non è ottenere uno Stato palestinese, ma distruggere il sionismo». Accanto a lui compare Azzam Tamimi, volto noto del canale e intellettuale palestinese-britannico. Non è uno sfogo da social: è una dichiarazione politica, lucida e programmatica.

Per anni, nella comunicazione occidentale, il conflitto è stato presentato come un braccio di ferro su confini e sovranità: due popoli, due Stati, divisione equa della terra, qualche formula magica di sicurezza condivisa. Qui no. Qui il messaggio è un altro: lo Stato palestinese è secondario, l’obiettivo strategico è l’eliminazione dell’impresa sionista. Aqtash lo dice esplicitamente: Israele è solo una parte di un progetto molto più ampio, che includerebbe istituzioni finanziarie internazionali e leadership globali. Il bersaglio non è un governo, ma l’esistenza stessa dello Stato ebraico e di tutto ciò che lo sostiene.

Queste parole dovrebbero mettere in imbarazzo più di un commentatore europeo che ancora recita il mantra rassicurante del “basta voler la pace”. Se una parte consistente e rilevante della classe intellettuale palestinese afferma senza giri di parole che la priorità è distruggere il sionismo, continuare a parlare solo di “processo di pace” significa mentire al proprio pubblico. Non siamo davanti a una vertenza territoriale come tante, ma a una guerra di delegittimazione: uno dei contendenti nega il diritto dell’altro a esistere.

Per Israele questo non è un dettaglio retorico ma la diagnosi della minaccia. E per chi, come noi, difende il diritto dello Stato ebraico a esistere come democrazia imperfetta ma reale, è anche una chiamata alle armi culturali. Vuol dire spiegare, una volta per tutte, che cosa sia il sionismo, perché non è un insulto ma un movimento di liberazione nazionale, e perché chi ne invoca la distruzione sta parlando, in ultima analisi, della cancellazione di un popolo dalla mappa politica.

Si può continuare a ripetere slogan consunti, oppure prendere sul serio ciò che viene detto in arabo davanti alle telecamere di un canale londinese. Se il progetto dichiarato è distruggere il sionismo, allora la vera linea di frattura non è tra “falchi” e “colombe”, ma tra chi accetta la legittimità di Israele e chi la rifiuta. Tutto il resto è una triste sceneggiatura diplomatica.


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