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NYC, un sindaco antisionista e la paura che cresce

Rosa Davanzo

Tempo di Lettura: 3 min
NYC, un sindaco antisionista e la paura che cresce

A New York l’aria è cambiata, e non in meglio. A un mese dall’elezione di Zohran Mamdani, politico dichiaratamente antisionista diventato sindaco della città più simbolica d’America, le preoccupazioni della comunità ebraica non si sono affievolite: si sono consolidate. A dirlo non è un commentatore qualunque, ma il rabbino riformista Amiel Hirsch, una delle voci più autorevoli dell’ebraismo progressista statunitense. Il suo allarme è limpido: ovunque l’antisionismo politico si è rafforzato, l’antisemitismo ha compiuto un salto di qualità.

Hirsch guida la storica sinagoga progressista Stephen Wise di Manhattan. Durante la guerra ha difeso senza esitazioni il diritto di Israele a combattere Hamas, opponendosi a quella galassia sempre più rumorosa che maschera un’ostilità verso lo Stato ebraico dietro il linguaggio del “diritto internazionale”. Proprio per questo, quando ad agosto – nel pieno della campagna elettorale – ha incontrato Mamdani insieme ad altri rabbini progressisti, sperava di trovare almeno un margine di dialogo. Ne è uscito con la sensazione opposta.

Racconta che l’incontro era iniziato con apertura e ascolto: un’ora di domande e tentativi di capire chi fosse davvero l’uomo destinato a governare una città che ospita oltre un milione di ebrei. Ma il punto fermo del neo-sindaco, la sua ossessione ideologica contro il sionismo, non si è incrinato. Una certa flessibilità tattica su vari temi, certo. Ma non su quello decisivo: l’idea che Israele non abbia diritto a definirsi Stato ebraico, mentre decine di Paesi – molti dei quali musulmani o cristiani – si definiscono apertamente Stati religiosi senza che ciò gli provochi alcun turbamento. Una selettività che Hirsch non esita a chiamare col suo nome: antisemitismo.

Le prime settimane post-elezione non hanno migliorato il quadro. Manifestazioni ostili davanti a una sinagoga ortodossa, polemiche feroci e una reazione di Mamdani giudicata «preoccupante»: invece di condannare senza ambiguità, il sindaco eletto ha lasciato intendere che la comunità stessa avesse delle responsabilità. Un modo elegante per non prendere posizione.

A irritare ulteriormente il mondo ebraico è stata anche la sua prima scelta simbolica: l’ingresso nello staff comunale di Abi (Avi) Stein, figura transgender con posizioni apertamente anti-israeliane. Una nomina che non punta a dialogare con la comunità ebraica tradizionale, ma con la sua frangia più marginale e politicamente allineata alla sinistra antisionista americana.

Nel frattempo cresce il numero di famiglie – ebrei americani e israeliani residenti – che valutano di lasciare New York. Miami? Israele? Forse. Dipenderà da come Mamdani governerà la città: economia, sicurezza, qualità della vita. Ma per molti il tema identitario pesa quanto le tasse. E spesso molto più della politica.

Hirsch, che presto incontrerà di nuovo il nuovo sindaco, non si illude di convertirlo a una posizione meno ostile verso Israele. «Le persone non cambiano», riconosce. Ma tenta almeno di arginare il danno possibile: evitare che il potere cittadino trasformi un’ideologia in ostilità strutturale verso gli ebrei. Non un traguardo ambizioso—solo l’essenziale.

E tuttavia, nella New York del 2025, anche questo essenziale sembra già una battaglia.


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