Il progetto Nvidia in Israele ha ormai superato anche l’ultimo confine dell’ambiguità. Non è più una procedura amministrativa in dirittura d’arrivo: la scelta è stata fatta, il sito individuato, l’impegno reso pubblico. Il colosso americano dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale realizzerà il suo nuovo mega-campus tecnologico nel nord del Paese, nell’area di Kiryat Tivon, e l’accordo per l’assegnazione del terreno è entrato nella fase conclusiva, con la firma definitiva ormai imminente. Non una promessa, ma una decisione strutturale. Nvidia va avanti, rilancia e investe in Israele proprio nel momento di massima pressione politica e simbolica internazionale.
Il progetto prevede la costruzione di uno dei più grandi centri di ricerca e sviluppo Nvidia al mondo. Una superficie complessiva che si avvicina ai 160 mila metri quadrati e una capacità occupazionale che, a regime, potrebbe superare le 10 mila persone. Un investimento di lungo periodo, pensato su un orizzonte pluridecennale, con avvio dei lavori nei prossimi anni e una piena operatività graduale all’inizio del prossimo decennio. Altro che disimpegno o prudenza tattica: qui si pianifica il futuro industriale dell’azienda.
Per comprenderne il significato reale bisogna tornare al 2019, quando Nvidia acquisì Mellanox Technologies per circa 6,9 miliardi di dollari. Da allora Israele non è diventato una filiale periferica, ma uno snodo strategico. Oggi Nvidia impiega nel Paese oltre 3.000 addetti, distribuiti tra Yokneam, Tel Aviv, Gerusalemme, Ra’anana e Beer Sheva. In questi centri si sviluppano tecnologie decisive per l’intelligenza artificiale, i data center, il supercalcolo e le reti ad altissima velocità. Non attività ancillari, ma il cuore stesso della catena del valore Nvidia.
Il simbolo più evidente di questa centralità è Israel-1, il supercomputer inaugurato nel 2023, basato su migliaia di GPU H100 e su infrastrutture di rete avanzate. Un investimento stimato attorno ai 500 milioni di dollari, progettato per sostenere lo sviluppo dell’AI generativa e messo a disposizione anche dell’ecosistema israeliano di startup e università. Un’infrastruttura di questo livello non nasce in un Paese considerato instabile o marginale, ma in uno ritenuto essenziale.
Ed è qui che il dato industriale incrocia inevitabilmente la politica. Mentre in Europa e negli Stati Uniti si moltiplicano appelli al boicottaggio accademico, culturale e tecnologico di Israele, una delle aziende più decisive per il futuro dell’economia globale compie la scelta opposta. Nvidia non ignora le pressioni: le conosce, le valuta e le supera. Per una ragione semplice e brutale: senza il know-how sviluppato in Israele sulle interconnessioni, sull’ottimizzazione dei carichi di calcolo e sulla sicurezza dei sistemi, la corsa globale all’intelligenza artificiale rallenterebbe drasticamente.
C’è un dettaglio che pesa più di qualsiasi dichiarazione ufficiale. Nvidia ha continuato ad assumere e a investire in Israele anche dopo il 7 ottobre, nel pieno della guerra e dell’isolamento diplomatico. Nessuna sospensione, nessun congelamento dei piani, nessun ripensamento strategico. Le grandi aziende tecnologiche non ragionano per slogan morali o hashtag, ma per catene del valore, competenze e tempi lunghi. E Israele, oggi, è un nodo strutturale di quelle catene.
La firma definitiva dell’accordo completerà un percorso che, nei fatti, è già irreversibile. Ma il messaggio è arrivato da tempo. Il boicottaggio resta un mantra ripetuto nei campus e sui social. L’industria che costruisce il futuro dell’intelligenza artificiale, invece, assegna terreni, progetta campus e pianifica decenni. E, smentendo tutti i boicottaggi possibili e immaginabili, sceglie Israele.
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Nvidia, Israele e la realtà che manda in frantumi il boicottaggio
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