In Italia, il dibattito sul boicottaggio di Israele non è neutro e non può esserlo. È alimentato da convinzioni ideologiche, pressione sociale e strategie politiche che semplificano e distorcono la realtà.
Chi partecipa a manifestazioni o campagne agisce come se incarnasse la giustizia, riducendo questioni complesse a un’unica narrativa parziale e di parte. Questa attitudine produce divisione, disinformazione e conflitti che si insinuano nella società, minando coesione e fiducia reciproca.
L’influenza di queste campagne travolge tutti: cittadini comuni, persone colte, chi ricopre ruoli di responsabilità. Politici, amministratori e intellettuali si lasciano trascinare da narrazioni semplificate.
Il confine tra dissenso legittimo e prevaricazione è sottile: la protesta diventa imposizione morale, la partecipazione simbolica supera il confronto critico. Emozioni come rabbia, frustrazione e senso di impotenza vengono sfruttate e amplificate dai social, diffondendo messaggi polarizzanti e falsi semplificatori.
Le scelte locali, le deliberazioni istituzionali e la vita quotidiana — nelle scuole, sul lavoro, nei rapporti tra vicini — ne risentono.
La pressione collettiva, la ricerca di approvazione e l’appartenenza a gruppi che condividono valori comuni riducono lo spazio per dubbi o riflessione. Tutto questo semina pregiudizio, stereotipi e odio.
Il terreno è fertile per l’antisemitismo, e chi oggi manifesta o applaude azioni del genere rischia domani di trovarsi dall’altra parte della barricata, a subire l’ingiustizia che oggi legittima.
Il problema non riguarda solo il popolo ebraico: riguarda tutti. La storia insegna che chi normalizza l’odio e la discriminazione raccoglie violenza e ingiustizia.
Non esiste giustificazione: indignazione e partecipazione basate sulla pressione collettiva, sulla semplificazione o sulla retorica di parte sono pericolose e devono essere fermate.
Agire ora, con fermezza morale e senso critico, è un obbligo collettivo. Difendere oggi chi subisce ingiustizia significa proteggere la società intera domani. Chi semina odio raccoglie divisione: ignorarlo sarebbe già una complicità.
Non c’è più spazio per l’indifferenza
Non c’è più spazio per l’indifferenza

