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⌥ Nobel dorato

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A Oslo la pace viene dispensata con generosa inutilità. Ogni autunno luccica una statuetta, parte un applauso, viene diffuso un comunicato molto compunto in uno scenario fatto di smoking e collane di perle, argenti, cristalli e porcellane. E intanto i missili continuano a volare, i morti a contarsi, i massacratori e i dittatori a brindare.

Il Nobel per la pace è un premio di consolazione, ma soprattutto di autoconsolazione: lo dai a chi parla bene (Obama, tanto per dire), a chi fa promesse che non ha intenzione alcuna di mantenere (Arafat, per dirne un altro), non a chi ferma una pallottola.

È la medaglia che rincuora l’Occidente fighettone e inconcludente, mentre fuori dall’Oslo rådhus, il municipio della capitale, il mondo non capisce il norvegese e imperterrito continua a bruciare. Ma tranquilli: domani ci saranno foto affollate di sorrisi, strette di mano e un assennato discorsetto sulle “speranze dell’umanità”.

La pace, almeno a Oslo, è assicurata.


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