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Netanyahu e i conti con la democrazia israeliana

Giancarlo Giojelli

Tempo di Lettura: 3 min
Netanyahu e i conti con la democrazia israeliana

Interesse nazionale o interesse personale? Bibi Netanyahu deve comparire tre volte alla settimana davanti a una corte di giustizia mentre guida un Paese che affronta la guerra più lunga della sua storia, dopo il massacro del 7 ottobre, la tragedia degli ostaggi che ha ferito al cuore Israele, le lacerazioni di un terrorismo che non si arresta, gli attentati interni, il timore di un nuovo attacco dal Nord, le polemiche politiche e la difficile gestione di alleanze di governo rese sempre più precarie dalle violenze dei coloni. Violazioni che offrono ossigeno alle trombe dei pro-Pal internazionali, abili nel diffondere slogan che rimbalzano con singolare simultaneità nei cinque continenti.

Le accuse contro Netanyahu sono pesanti: corruzione, frode, abuso di potere. Nei fatti si tratta di regali – whisky pregiati, champagne, monili di lusso per la moglie – che sarebbero stati elargiti da imprenditori in cambio di favori, oltre a pressioni esercitate su alcuni media per ottenere una migliore immagine pubblica. Di tutto questo i giudici israeliani discutono da oltre cinque anni.

Ora Netanyahu, con l’appoggio dell’amico Trump, chiede il perdono presidenziale al capo dello Stato, Isaac Herzog, senza ammettere colpe e senza attendere il verdetto finale. Una sorta di: “facciamola finita”, “non si può governare con serenità in una situazione tanto drammatica”, “terminiamo le guerre, mettiamo il Paese in sicurezza e poi vedremo”. Questo ragionamento è racchiuso in un dossier di 111 pagine che Herzog deve esaminare e sottoporre al parere del ministero della Giustizia e della Procura dello Stato.

Israele funziona così: i poteri non sono assoluti, quali che siano le fantasie dei suoi detrattori flottillieri. L’opposizione politica non si oppone alla grazia in sé, ma afferma in sostanza: prima Netanyahu si ritiri dalla politica. Pesa infatti il fatto che, tra i primi atti del nuovo gabinetto Netanyahu – alleato degli estremisti religiosi e ultranazionalisti – ci sia stato il progetto di riforma della Giustizia per limitare il potere quasi assoluto dei magistrati, un progetto che ha spaccato il Paese.

Può darsi che un accordo sottotraccia, favorito dagli Stati Uniti, sia già in gestazione, ma non è scontato. Può darsi che le inchieste interne sulle responsabilità politiche e militari nei ritardi dell’intervento dell’esercito rivelino nuovi elementi capaci di mettere in difficoltà il governo. Può darsi.

Resta però il fatto che il capo di governo più longevo di un Paese che dalla nascita combatte per la propria esistenza continua da cinque anni a rispondere alle accuse, in un processo totalmente pubblico. Tutto è riportato dai giornali, e chiunque nel mondo può leggere e documentarsi. Censura, in Israele, non esiste. Lo dico per esperienza personale.

Qualunque sarà la decisione di Herzog, saranno gli israeliani a giudicare liberamente alle urne. Il prossimo anno si vota. Grazia o non grazia, Israele resta una democrazia compiuta e una società aperta.


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