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Missili, paura e propaganda: la doppia guerra iraniana contro Israele

Paolo Montesi

Tempo di Lettura: 3 min
Missili, paura e propaganda: la doppia guerra iraniana contro Israele
Missili balistici iraniani

La minaccia iraniana contro Israele non passa soltanto dai lanciatori mobili, dalle rampe sotterranee o dalle traiettorie balistiche che in dodici minuti possono coprire la distanza tra l’Iran e il Mediterraneo. Passa anche, e sempre di più, da una costruzione mentale. Da un racconto studiato per intimidire, disorientare, alterare la percezione della deterrenza. È su questo doppio binario, militare e psicologico, che Teheran sta giocando la sua partita.

Sul piano delle capacità reali, l’Iran dispone oggi di un arsenale stimato in circa mille missili balistici, dopo averne lanciati oltre cinquecento durante la cosiddetta Guerra dei 12 giorni e aver subito distruzioni mirate di lanciatori e depositi. Il missile più utilizzato è stato lo Shahab-3, vettore ormai collaudato, con una gittata di circa 1.300 chilometri e una testata in grado di trasportare centinaia di chilogrammi di esplosivo. Accanto a questo, Teheran schiera una gamma ampia di sistemi: Ghadar, Sejjil, Khorramshahr, Fatah, fino ai più recenti vettori a combustibile solido. L’obiettivo dichiarato non è difensivo: le stime parlano di un piano di ricostituzione dell’arsenale fino a quota ottomila missili balistici.

A questi si aggiungono i missili da crociera, spesso sottovalutati nel dibattito pubblico ma centrali nella dottrina iraniana. Soumar, Hoveyzeh, Abu Mahdi, Paveh, Ya Ali: piattaforme a bassa quota, con capacità di volo prolungato e una precisione che li rende strumenti ideali per colpire infrastrutture strategiche. Non sono armi da saturazione indiscriminata, ma da pressione mirata. Anche questo è un messaggio.

Di fronte a questa minaccia, Israele ha costruito negli anni un sistema di difesa stratificato unico al mondo. Il primo livello è Arrow 3, progettato per intercettare missili balistici fuori dall’atmosfera, a oltre duemila chilometri dal territorio nazionale. Seguono Arrow 2 e il sistema americano THAAD, che coprono la fascia intermedia. Più in basso opera David’s Sling, mentre Iron Dome resta l’ultimo scudo contro razzi e frammenti, con un ruolo cruciale anche nella gestione dei detriti generati dalle intercettazioni. È questa architettura che ha permesso a Israele di neutralizzare la maggior parte dei vettori iraniani lanciati finora.

Ed è proprio qui che si inserisce la seconda guerra, quella mediatica. Negli ultimi mesi la stampa iraniana ha alzato il tiro, abbandonando ogni ambiguità. Prime pagine aggressive, mappe di Israele colorate di rosso, titoli che parlano di accerchiamento, di superiorità strategica, di umiliazione imminente del nemico. Il messaggio è semplice: Israele sarebbe paralizzato dalla paura delle capacità missilistiche iraniane, costretto sulla difensiva, incapace di colpire senza subire danni insostenibili.

Quotidiani vicini al regime descrivono ogni cautela israeliana come una prova di impotenza. Se Gerusalemme non attacca, sostengono, è perché non può. Se parla della minaccia missilistica, è perché ne è ossessionata. È una narrativa che mira a rovesciare il concetto stesso di deterrenza, trasformando la prudenza in debolezza e l’attesa in sconfitta anticipata.

Ma questa sicurezza ostentata convive con una fragilità evidente. Il regime iraniano non conosce oggi un vero dibattito interno sulla moderazione. La percezione di forza alimenta l’escalation, non la contiene. E proprio qui si annida il rischio maggiore: quello di un errore di calcolo, di una convinzione reciproca che l’altro non oserà andare fino in fondo.

La minaccia iraniana, dunque, non è solo nei numeri dell’arsenale o nelle sigle dei missili. È nella pretesa di dettare le regole psicologiche del confronto. Israele lo sa. E sa anche che la partita non si gioca solo nei cieli, ma nella capacità di non lasciarsi imprigionare dal racconto del nemico.


Missili, paura e propaganda: la doppia guerra iraniana contro Israele
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