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Milano antisionista nel giorno in cui comincia la pace

Barbara Covili

Tempo di Lettura: 3 min
Milano antisionista nel giorno in cui comincia la pace

Nel giorno in cui Israele e Gaza siglano una tregua, il Consiglio comunale di Milano discute se interrompere il gemellaggio con Tel Aviv. Una mozione, presentata dai Verdi e sostenuta da parte del centrosinistra, chiedeva di troncare un legame simbolico che dura dal 1994. L’aula, fortunatamente, l’ha respinta: 21 contrari, 9 favorevoli, 6 astenuti. Il dibattito che l’ha preceduta e seguita, però, consegna l’immagine di una città smarrita, dove l’ostilità verso Israele si traveste da moralismo pacifista.

Mentre a livello internazionale si prova a ricostruire ponti, Milano ha rischiato di distruggerne uno. La proposta non è stata avanzata “in nome della pace”: ha significato, piuttosto, prendere le distanze dall’unico Paese democratico del Medio Oriente. Non una critica a un governo, ma la messa in discussione della legittimità stessa di Israele come interlocutore. Questo si chiama antisionismo. Proprio come recitava il manifesto esposto davanti a Palazzo Marino: “Milano antisionista”.

Come spesso accade, la seduta è stata accompagnata da urla, cori e insulti, con manifestazioni in piazza al limite della violenza. «Vergogna, vergogna», hanno gridato i manifestanti dopo il voto. Un clima da tribunale ideologico più che da assemblea democratica, che conferma l’indisponibilità a considerare o rispettare qualunque decisione che non sia allineata al mainstream anti-israeliano e pro-Pal.

A ottant’anni dalle leggi razziali, nella città di Liliana Segre, vedere bandiere palestinesi sventolare davanti a Palazzo Marino come simbolo di “resistenza” è un segno inquietante: non già della libertà di pensiero, ma della perdita di memoria.

Non meno sconcertante l’altra notizia del giorno: la candidatura all’Ambrogino d’Oro della cosiddetta Global Sumud Flotilla, proposta da consiglieri del Partito Democratico e dei Verdi. Un gruppo distintosi non per azioni umanitarie, ma per iniziative di rottura e propaganda ideologica, spesso in contrasto con il diritto internazionale. Premiare la Flotilla significherebbe trasformare il massimo riconoscimento civico in un gesto politico divisivo, svuotandone il valore di merito.

Non stupisce, allora, la reazione dell’avvocata Annamaria Bernardini de Pace — insignita dell’Ambrogino nel 2015 — che ha annunciato l’intenzione di restituire la medaglia qualora la Flotilla venisse premiata: un atto di coscienza in un tempo in cui troppi preferiscono tacere per non disturbare il conformismo dell’odio.

Milano, città che fu laboratorio di libertà, rischia di farsi palcoscenico dell’ipocrisia: si parla di pace mentre si colpiscono i simboli della convivenza; si invoca la giustizia mentre si dimentica chi vive da anni sotto la minaccia del terrorismo. Nel giorno in cui la pace muove i primi passi, Milano ha scelto di mostrarsi antisionista. E la pace, ancora una volta, non abita qui.


Milano antisionista nel giorno in cui comincia la pace
Milano antisionista nel giorno in cui comincia la pace