C’è un filo rosso nella postura internazionale del governo: coesione con gli alleati, prudenza operativa, e una bussola che punta al rafforzamento del legame transatlantico. A Palazzo Madama, la premier ha rivendicato una linea di chiarezza: lavorare per un Occidente coeso, rigettare l’isolazionismo, sostenere Kyiv senza inviare truppe e, sul dossier mediorientale, aprire alla soluzione dei due Stati a una condizione essenziale: l’uscita di Hamas dall’equazione di governo. Una traiettoria che ha alzato l’asticella del dibattito interno e smentito, con i fatti, le caricature di chi evoca un’Italia in retromarcia internazionale.
Il merito politico, oggi, è duplice. Primo: la capacità di tenere il baricentro nel campo occidentale senza scivolare né nel massimalismo né nell’irenismo vile di alcune opposizioni. La linea sull’Ucraina – supporto militare e diplomatico, niente “boots on the ground”, nessuna ambiguità verso Mosca – ha consolidato l’affidabilità dell’Italia nei consessi euro-atlantici, respingendo tentazioni neutraliste e distinguo opportunistici. È la grammatica della serietà: conti con gli alleati, linguaggio netto con gli avversari, interessi nazionali ancorati all’architettura di sicurezza europea.
Secondo: il capitolo Medio Oriente. Qui la rotta di Roma punta a un equilibrio realistico: sicurezza d’Israele come prerequisito, disarmo di Hamas come condizione abilitante, coinvolgimento diretto delle principali capitali sunnite nella verifica sul terreno e, solo allora, un percorso politico che renda concreta la prospettiva dei due Stati. Non è un esercizio di stile: è la sola sequenza che evita scorciatoie retoriche e traduce la tregua in processo. L’eventuale riconoscimento della Palestina è dunque legato alla fine del veto armato di Hamas, con una nuova governance a Gaza sotto l’egida dell’Autorità Nazionale Palestinese e di figure non compromesse.
Questa impostazione produce due effetti strategici. In casa europea, spinge verso un’identità di difesa più coerente e interoperabile, complementare alla NATO, con procurement comune e comandi integrati: meno duplicazioni, più capacità reali. Nella regione, responsabilizza i partner arabi e riduce lo spazio della propaganda jihadista che prospera sullo stallo. In sintesi: deterrenza, alleanze, sequenza politica credibile. È la differenza tra parlare di pace e costruire le precondizioni perché duri.
Al netto delle polemiche e di tutte le obiezioni che si possono fare in politica interna, quello di Giorgia Meloni è un governo che si muove da attore protagonista sulla scena mondiale: in prima fila nel dialogo euro-atlantico, saldo nel sostegno all’Ucraina, pragmatico nel tenere insieme la sicurezza d’Israele e la tutela dei civili palestinesi; capace di lavorare con Washington e con le capitali europee, e di coinvolgere i partner arabi in una sequenza che trasformi la tregua in processo politico. Meno slogan, più responsabilità: questa è la cifra della politica estera italiana oggi.
Meloni, una sapiente regìa per tenere insieme Europa, Occidente e Medio Oriente
Meloni, una sapiente regìa per tenere insieme Europa, Occidente e Medio Oriente