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Mamdani parla in tv di “genocidio”. Ognuno ha l’Albanese che si merita

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 4 min
Mamdani parla in tv di “genocidio”. Ognuno ha l’Albanese che si merita

È bastato un applauso televisivo per trasformare un candidato locale in un profeta planetario. Zohran Mamdani, deputato socialista e aspirante sindaco di New York, ha definito “genocidio” la guerra di Israele contro Hamas, seduto sul divano di The View, il talk show più popolare d’America tra le casalinghe progressiste. Il pubblico si è alzato in piedi. L’applauso è durato più della domanda.

Mamdani, figlio di intellettuali ugandesi e indiani, parla con la calma di chi sa di incarnare un tempo nuovo: quello in cui la parola “Israele” è pronunciata con lo stesso tono con cui si dice “colpevole”. «Credo nella universalità del diritto internazionale» ha detto, come se la sua fede nel diritto universale potesse giustificare la cancellazione di un diritto particolare: quello di esistere come Stato ebraico. Quando la conduttrice Sara Haines – sposata con un ebreo, spilla gialla per gli ostaggi sulla giacca – gli ha ricordato che aveva già definito Israele «uno Stato di apartheid» e «una nazione senza legittimità ebraica», Mamdani ha sorriso. Poi ha ribadito: «Sì, è un genocidio».

La folla ha applaudito ancora. È il suono più rassicurante del nostro tempo: l’applauso che copre la complessità. L’applauso che permette a chi lo dà di sentirsi dalla parte giusta. A nessuno interessa che Mamdani abbia aggiunto, con tono burocratico, di «condannare Hamas». Quella formula è ormai la foglia di fico con cui ci si concede il lusso di accusare Israele di ogni male.

Il caso Mamdani racconta molto più di un candidato. Racconta l’evoluzione di un linguaggio: la trasformazione del progressismo occidentale in un sentimentalismo furioso e analfabeta. Oggi basta pronunciare la parola “genocidio” per cancellare i fatti: il 7 ottobre, gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, i tunnel costruiti sotto le scuole, la strategia deliberata di usare i civili come scudi. Non serve sapere, basta sentire.

Le sue parole a The View si inseriscono in un clima mutato. Secondo un sondaggio pubblicato questa settimana, per la prima volta gli americani simpatizzano più per i palestinesi che per gli israeliani. Il crollo del sostegno a Israele è più netto proprio tra i democratici laureati, quelli che un tempo leggevano Primo Levi e oggi condividono post su “apartheid” e “resistenza”. È il trionfo dell’informazione per emozioni, della morale a buon mercato, dove l’innocenza è sempre dalla parte più debole e la colpa coincide con la forza.

C’è un parallelo inevitabile, qui in Europa. In Italia, il ruolo di Mamdani lo interpreta Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi. Anche lei applaudita in certi ambienti, anche lei paladina di un linguaggio dove il diritto internazionale è piegato a slogan, dove l’odio si veste da compassione. Ecco perché, davanti all’entusiasmo che circonda Mamdani, viene da dire: ognuno ha l’Albanese che si merita.

Gli Stati Uniti si tengono il loro tribuno in giacca di lino, New York il suo candidato che parla di genocidio come fosse una questione urbanistica. Noi abbiamo la nostra relatrice speciale delle Nazioni Unite che scambia l’antisemitismo per “critica politica”. In entrambi i casi, la morale è la stessa: Israele deve chiedere perdono per il fatto di esistere.

Il vero scandalo non è la frase di Mamdani, ma l’applauso che l’ha seguita. L’America che applaude il “genocidio” è la stessa che non ha mai alzato la voce contro gli assassini del 7 ottobre; la stessa che si commuove per i bambini di Gaza ma non ha mai pronunciato il nome dei bambini israeliani bruciati vivi. È l’applauso di chi, per sentirsi giusto, ha bisogno che qualcuno sia colpevole.

Ognuno ha l’Albanese che si merita, dunque. E ogni civiltà mostra la sua misura morale nel modo in cui applaude.


Mamdani parla in tv di “genocidio”. Ognuno ha l’Albanese che si merita
Mamdani parla in tv di “genocidio”. Ognuno ha l’Albanese che si merita