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Luigi Mattiolo: «Senza il riconoscimento di Israele come Stato ebraico, ogni pace è illusoria»

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 5 min
Luigi Mattiolo: «Senza il riconoscimento di Israele come Stato ebraico, ogni pace è illusoria»

Luigi Mattiolo, tra i più esperti diplomatici italiani — già ambasciatore in Israele, Germania e Turchia, e consigliere per la politica estera a Palazzo Chigi durante il governo Draghi — offre una lettura lucida e disincantata del conflitto israelo-palestinese, smontando alcune delle retoriche più diffuse nei salotti europei e nel dibattito politico italiano.

Il primo punto è l’appello firmato da 35 ex ambasciatori italiani per il riconoscimento immediato dello Stato di Palestina. Un testo che Mattiolo, pur conoscendone molti firmatari, ha scelto di non sottoscrivere. Le motivazioni sono due, e pesanti. La prima è di principio: oggi, riconoscere uno Stato palestinese significherebbe attribuirgli una forma e una legittimità che nei fatti non esistono. Non si conoscono i suoi confini, né chi effettivamente lo governi, soprattutto nella Striscia di Gaza, dominata dal 2007 da Hamas, organizzazione terroristica per l’Europa e gli Stati Uniti. La seconda motivazione riguarda il tono del documento, che secondo Mattiolo sembra voler punire Israele più che costruire una prospettiva di pace. La frase che distingue tra gli «esecrabili attacchi» del 7 ottobre e l’«orrore perpetrato» da Israele nega, di fatto, il diritto di difesa dello Stato ebraico.

L’analisi dell’ambasciatore si allarga così a un livello più profondo: quello dell’antisemitismo e del clima culturale europeo. Esiste, a suo avviso, un antisemitismo carsico, antico e radicato, che si è saldato negli ultimi anni con l’anarchismo, con l’antiamericanismo, con l’ostilità viscerale verso l’Occidente. In questo schema ideologico, Israele diventa l’icona da abbattere: è l’ultimo avamposto occidentale in Medio Oriente e, in quanto tale, è il bersaglio di una manovra simultaneamente politica, culturale e militare. Non è un caso, ricorda Mattiolo, che Israele sia stato attaccato dopo il 7 ottobre da Gaza, ma anche dal Libano, dalla Siria, dallo Yemen: un fronte che si allarga, mentre in Europa questi attacchi vengono ignorati o sminuiti.

In questo contesto si innesta anche la crescente retorica antisionista, rivendicata da molti come se fosse una nuova forma di antifascismo. È un paradosso pericoloso. Come osserva Mattiolo, se c’è un movimento nazionale sorto con l’approvazione delle Nazioni Unite, dotato di una progettualità identitaria e statuale, è proprio il sionismo. Negarlo oggi significa non solo negare la storia e la legittimità di Israele, ma rovesciare il significato stesso dei concetti. Il sionismo, sottolinea, affonda le sue radici anche in correnti marxiste: Herzl non era un ultranazionalista, ma un socialista europeo. Dunque l’antisionismo, quando si fa totalizzante, è in realtà il nuovo volto di un odio antico.

L’eventualità che grandi Paesi come Francia e Regno Unito possano riconoscere la Palestina oggi viene giudicata da Mattiolo come remota e pericolosa. Farlo adesso — con gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, la guerra in corso e senza un piano di disarmo — equivarrebbe a premiare una strategia del terrore: «Più peggiora la situazione, meglio è per noi», è il principio su cui Hamas ha costruito la sua azione.

L’ambasciatore non risparmia nemmeno l’ONU e la sua relatrice speciale Francesca Albanese, la quale, secondo lui, ha mostrato una parzialità inaccettabile, persino rispetto agli standard già politicizzati delle Nazioni Unite. Dopo il 7 ottobre, le sue dichiarazioni hanno tentato di giustificare i massacri di Hamas con il pretesto dell’“occupazione”. Albanese non è un caso isolato, ma la punta più visibile di una tendenza: l’ONU ha adottato negli anni una quantità spropositata di risoluzioni contro Israele, ignorando le repressioni brutali o i crimini di regimi ben più violenti. L’esempio citato è quello della conferenza di Durban, dominata da pulsioni antisemite mascherate da lotta ai diritti.

Sullo sfondo si staglia anche il ruolo dei media. Mattiolo denuncia una vera e propria convergenza mediatica planetaria nella diffusione di immagini e narrazioni costruite, o platealmente false. Dai giornali francesi a quelli italiani, passando per le grandi testate americane, sono circolate foto di bambini denutriti attribuite a Gaza, ma in realtà risalenti alla Siria del 2016. È il frutto, osserva, di una saldatura pericolosa tra propaganda terroristica, stati arabi ostili a Israele e settori intellettuali occidentali che ormai si pongono l’obiettivo di abbattere l’intero edificio dell’Occidente, ritenuto esaurito nei suoi valori fondativi.

Come se ne esce? Mattiolo delinea un pacchetto di condizioni che, pur complesse, appaiono come l’unica via credibile. Servono un cessate il fuoco, il rilascio simultaneo degli ostaggi, il disarmo completo di Hamas, il ritiro graduale dell’esercito israeliano da Gaza e un flusso coordinato e massiccio di aiuti umanitari. Serve poi una forza di interposizione composta da Paesi arabi accettati da Israele e un’amministrazione transitoria della Striscia, idealmente sotto l’egida dell’Autorità Palestinese.

Ma tutto questo, avverte, sarà vano senza il vero nodo politico: il riconoscimento esplicito da parte palestinese e araba non solo dello Stato di Israele, ma del suo carattere ebraico. Senza questo passaggio, avverte Mattiolo, ogni pace sarà illusoria. Perché una pace che prescinde dalla legittimità dell’altro non è pace: è solo una tregua tra due guerre..


Luigi Mattiolo: «Senza il riconoscimento di Israele come Stato ebraico, ogni pace è illusoria»
Luigi Mattiolo: «Senza il riconoscimento di Israele come Stato ebraico, ogni pace è illusoria» Luigi Mattiolo: «Senza il riconoscimento di Israele come Stato ebraico, ogni pace è illusoria»