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⌥ L’osso sacro

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La sinistra porta in piazza mezzo mondo di elettori, simpatizzanti, amici dei simpatizzanti, cugini degli amici dei simpatizzanti, perfino qualche cane da grembo con kefiah al collo.

Tutti uniti nella nuova fede: la causa “palestinese”, recitata come un rosario laico tra uno slogan e un post indignato. Israele diventa il male, Hamas un dettaglio folkloristico, e la piazza applaude sé stessa con entusiasmo rivoluzionario da apericena.

Poi arriva il momento vero, quello del voto, e lì la magia evapora come la schiuma di un cappuccino alla Festa dell’Unità. Nelle Marche e in Calabria — ma potremmo aggiungere mezzo Paese — le folle che in piazza sembravano un popolo diventano una minoranza rumorosa, e la sinistra finisce giù di schiena, a sbattere il famoso osso sacro che, a furia di cattive compagnie, di sacro non ha più nulla.

È la parabola del progressismo militante: gridare “resistenza” il sabato e scoprire la domenica che a resistere, ormai, è solo la sedia dell’avversario.


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