L’altro giorno sono stata a cena con degli amici: la conversazione era allegra e piena di affetto reciproco, come è giusto che sia tra vecchie conoscenze. A un certo punto il discorso si è spostato su Gaza e, per evitare equivoci, ho subito chiarito la mia ferma opposizione a qualunque forma di antisemitismo, ormai irrefrenabile in tutto il mondo occidentale. Ho sentito immediatamente scendere un gelo, come se fosse arrivato un ospite inatteso, e uno dei presenti, dopo essersi definito cattolico praticante, ha ricordato il complesso rapporto tra Gesù e gli ebrei.
Un tema antico e scivoloso, il cui passo successivo per secoli è stato l’accusa a tutti gli ebrei di «deicidio», che ha comportato persecuzioni ed emarginazioni da parte dei cristiani. Finché papa Giovanni XXIII, nel 1959, non ha fermamente condannato qualunque forma di antisemitismo e, soprattutto, qualunque accusa agli ebrei per la crocifissione di Cristo, disponendo l’abolizione dell’aggettivo «perfidi» giudei che era parte delle celebrazioni.
Un atto fondamentale nei rapporti tra cristiani ed ebrei, ma che evidentemente non è servito a estirpare la vecchia credenza, peraltro rispolverata in maniera più dotta dal filosofo Mancuso in tempi più recenti nelle sue conferenze relative al Vecchio Testamento.
Mi ha molto colpito l’arrivo di questo ospite inatteso, l’antisemitismo, non solo legato all’attuale tragedia di Gaza, ma addirittura all’antica credenza che ha voluto vedere nel popolo ebraico il responsabile di un delitto per il quale era giusto che pagasse.
Inutili sono state le mie considerazioni sulla complicità del mondo arabo nella crescita del fenomeno terroristico in Medio Oriente, le mie puntualizzazioni sulla lotta tra sciiti e sunniti quale una delle cause scatenanti dell’instabilità di quell’area disperata. Inutile è stato ricordare il trauma della società israeliana, spaccata e lacerata, e la tragedia di ciò che il 7 ottobre ha rappresentato per essa.
Dopo aver finalmente, come in un atto liberatorio, stabilito la legittimità di qualunque forma di antisemitismo, gli amici si sono addirittura affrettati a fare considerazioni di carattere politico, come l’accusa al premier israeliano di aver favorito il 7 ottobre per poter avere la giustificazione all’azione genocida contro il popolo palestinese.
Che Netanyahu sia chiamato a rispondere per quello che è avvenuto in quella tragica giornata, nonostante Israele abbia i migliori servizi di sicurezza del mondo, è evidente, e tutti speriamo di avere delle risposte alle domande che il mondo si è posto allora e che continua a porsi. Ma da ciò a semplificare il quadro al punto da sostenere che causa ed effetto siano colpa di Israele, anzi degli ebrei, anche quelli della diaspora, mi ha portato a decidere di tacere. Mi sono resa conto che l’ospite inatteso aveva vinto e il veleno della sua presenza aveva contaminato l’atmosfera della serata.
Semplificazione e pregiudizio si trovano a braccetto nella mente di coloro, degni figli di secoli di storia, che hanno visto negli ebrei il male e solo quello; e ancora una volta 18 milioni di persone sono messe sotto accusa mentre centinaia di milioni di estremisti islamici, responsabili di stragi e attentati, di guerre e discriminazioni, sogghignano di fronte alla stupidità dell’Occidente, aspettando la più propizia occasione per mostrare al mondo la loro invincibilità.
L’ospite inatteso a tavola: l’antisemitismo che non se ne va
L’ospite inatteso a tavola: l’antisemitismo che non se ne va

