C’è stata la liberazione degli ostaggi, ma gli ebrei restano prigionieri dell’odio più lungo. The Longest Hatred, lo definiva lo storico americano Robert S. Wistrich. Nel solo mese di ottobre, ancora in corso, a Milano un murale dedicato alla famiglia Bibas – Shiri e i suoi due figli, Kfir e Ariel, rapiti e uccisi da Hamas – è stato deturpato. L’opera, realizzata dall’artista Alexsandro Palombo accanto al consolato del Qatar, è stata coperta da un foglio raffigurante un ragazzo nel mirino, con la scritta “no alla guerra”. Un gesto che il filosofo francese Bernard-Henri Lévy ha definito «vile contro la memoria delle vittime».
Il vandalismo è avvenuto mentre, poco distante, nella Sinagoga Centrale, si teneva una cerimonia in memoria degli attentati del 7 ottobre. Non è la prima volta che le opere di Palombo subiscono simili oltraggi: era già accaduto con i suoi murales dedicati a Vlada Patapov, sopravvissuto al massacro del Nova Festival, e con i ritratti di Liliana Segre, Sami Modiano ed Edith Bruck.
In Svezia, il Jewish International Film Festival previsto a Malmö è stato annullato perché nessun cinema ha accettato di ospitarlo. Gli organizzatori hanno denunciato che «tutti i cinema commerciali e d’essai della città» hanno rifiutato per presunti motivi di sicurezza. «Non capisco quale minaccia possa esserci nel proiettare film ebraici», ha commentato uno di loro. La cofondatrice Sofia Nerbrand ha parlato di «scandalo nazionale», mentre il ministro della Cultura ha definito la vicenda «un disastro per la società».
Ma la realtà di Malmö non sorprende. Gli ebrei scappano dal multiculturalismo svedese. «In dieci anni non ci saranno più ebrei. I pochi bambini rimasti giocano dietro vetri antiproiettile», scriveva Giulio Meotti.
A Barcellona e Valencia, le manifestazioni anti-israeliane durante lo sciopero generale “per Gaza”, indetto da sindacati anarchici e socialisti, sono degenerate in scontri, incendi e devastazioni. A Barcellona, gli odiatori in kefiah hanno lanciato pietre contro negozi ritenuti “filo-israeliani”, come Starbucks e McDonald’s: 15 arresti, tra cui 11 minorenni. A Valencia, fuori dalla Roig Arena, dove si giocava la partita tra Hapoel Gerusalemme e Bàsquet Manresa, altri cinque arresti e trasferimento forzato dei giocatori israeliani in un altro hotel per ragioni di sicurezza. La Federazione delle Imprese di La Rioja ha definito l’episodio «un fallimento», ricordando che «un evento estraneo alla vita aziendale ha finito per danneggiare imprese e lavoratori».
Anche nello sport, il clima è esplosivo: la tappa finale della Vuelta è stata interrotta a 56 chilometri dall’arrivo a Madrid, dopo che manifestanti filo-palestinesi hanno invaso la strada spargendo puntine e vetri. Poche ore prima, il premier spagnolo Pedro Sánchez aveva espresso «ammirazione» per chi «protesta contro il genocidio a Gaza».
Nel Regno Unito, il professore israeliano Michael Ben-Gad è stato insultato come “terrorista” da un gruppo di attivisti all’Università di Londra, dove insegna economia. Gli contestavano di aver servito nell’IDF e ne chiedevano il licenziamento. «Hanno scelto il professore sbagliato e l’università sbagliata», ha replicato. Ben-Gad ha spiegato che le accuse riguardano persino «aver studiato all’Università Ebraica di Gerusalemme, aver insegnato ad Haifa e aver lavorato alla Banca Centrale d’Israele. In sostanza, il mio errore è aver vissuto in Medio Oriente da ebreo».
E che dire della Francia, dove la giornalista Galit Solomon, dopo essere stata ospite a un matrimonio, ha dichiarato: «Mi rifiuto di scusarmi per essere ebrea. Sono stufa di essere ridotta a un simbolo politico ogni volta che apro bocca». Essere ebrei oggi, scrive Solomon, significa «entrare in una stanza e chiedersi se la propria umanità verrà riconosciuta – o se la propria presenza sarà considerata una provocazione».
Poi leggete cosa le è accaduto
Infine, ancora nel Regno Unito, Emily Damari – ostaggio britannico-israeliana liberata dopo 15 mesi a Gaza – ha definito «scandalosa» la decisione di vietare ai tifosi del Maccabi Tel Aviv di assistere alla partita contro l’Aston Villa per motivi di sicurezza. «Il calcio è un modo per unire le persone indipendentemente dalla loro fede o colore – ha detto – e questa disgustosa decisione fa esattamente l’opposto». E conclude con una domanda: «È come mettere un grande cartello all’esterno di uno stadio con la scritta “vietato l’ingresso agli ebrei”. Che fine ha fatto il Regno Unito, dove l’antisemitismo palese è diventato la norma?».
L’Odio più lungo: l’Europa che cancella gli ebrei
L’Odio più lungo: l’Europa che cancella gli ebrei