C’è qualcosa di quasi tenero, se non fosse così squallido, nello spettacolo di Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU che ha deciso di svelarci l’ennesima verità rivelata: l’Italia, dichiara impavida, è “complice di genocidio” per aver sostenuto Israele. 
Un copione logoro ma recitato con l’ardore dell’esordiente che non ha ancora capito di essere finita in una pièce senza pubblico, con alle spalle un coro stanco che ripete le stesse accuse, le stesse parole usurate — genocidio, apartheid, colonialismo — e cioè i talismani di chi non sa più distinguere tra vittima e carnefice.
L’Italia, accusata di genocidio per non aver scelto l’abisso del conformismo morale, assiste a questo teatrino con la calma di chi ha già visto tutto: le stesse frasi, le stesse mani alzate, gli stessi occhi lucidi di commozione artificiale. È la commedia dell’odio professionale, dove la realtà è un ostacolo mentre la menzogna è un dovere d’ufficio.
Alla fine, resta solo una donna che scambia il suo rancore per giustizia. Un mestiere rispettabile, se non fosse che di giustizia non c’è traccia, e di odio — ahimè — fin troppo.
L’odio è un mestiere
   Le parole vuote fanno rumore
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