Marco Mancini, già responsabile del controspionaggio e a lungo ai vertici del DIS, legge la fase apertasi il 7 ottobre come uno spartiacque strategico: «L’Europa è esposta a un asse di convenienza tra Iran e Russia che usa terrorismo e guerra ibrida per indebolire l’Occidente». Teheran proietta potenza attraverso le milizie per procura — Hamas, Hezbollah, Jihad islamica, Houthi — e «riempie i teatri di crisi con missili, droni e propaganda». Mosca ne trae vantaggio «perché sposta l’attenzione, consuma risorse occidentali e allunga la guerra in Ucraina». In mezzo, Israele è sottoposto a «una guerra cognitiva senza precedenti: delegittimazione sistematica, manipolazione delle immagini, campagne coordinate sui social, università e ONG che amplificano narrazioni costruite».
Per Mancini, il primo dato da ristabilire è la gerarchia dei fatti: «Il 7 ottobre non è un incidente ma un atto di guerra pianificato per sabotare i processi di normalizzazione regionale». Da qui discende «il diritto–dovere di Israele a difendersi con efficacia, pur dentro i vincoli del diritto internazionale». Sulle scelte operative del governo Netanyahu mantiene un giudizio non adesivo: «Distinguo la necessità strategica di neutralizzare la minaccia dalla contingenza tattica, che va valutata alla luce degli obiettivi finali». Obiettivi che per lui sono «sicurezza duratura ai confini, liberazione degli ostaggi, impedimento del riarmo di Hamas e un assetto politico-amministrativo di Gaza che non ricrei le condizioni precedenti».
La chiave, insiste, è tenere insieme dimensione militare e negoziale: «Gli ostaggi sono il centro di gravità della crisi e l’inerzia della mediazione ha avuto costi altissimi». Il Qatar, dice, «deve essere spinto a un ruolo realmente risolutivo, non ambiguo, legando status e benefici al risultato concreto». Senza una pressione coordinata su Doha e Teheran, «ogni proposta di cessate il fuoco rischia di essere solo un tempo di riorganizzazione per Hamas».
Sul fronte europeo Mancini sollecita «realismo e coerenza». L’UE deve riconoscere «la natura sistemica della minaccia iraniana»: sanzioni sul programma missilistico e sui droni, messa al bando del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, interdizione dei flussi finanziari che alimentano le milizie. Mediterraneo e Mar Rosso diventano «la cerniera della nostra sicurezza economica»: protezione delle rotte, missioni navali credibili, cooperazione con i partner arabi moderati. All’Italia spetta «un ruolo di cerniera nel Sud dell’Europa», investendo in difesa, cyber, controllo dei finanziamenti esteri opachi e contrasto alla radicalizzazione carceraria e online.
L’altro terreno decisivo è informativo: «La guerra cognitiva si vince con un ecosistema che unisca intelligence, diplomazia e comunicazione pubblica». Serve «capacità di declassificare con tempestività», creare task force anti-disinformazione, alfabetizzare i media, «smentire montaggi e menzogne prima che diventino verità percepite». L’obiettivo, ribadisce, «non è convincere con la propaganda, ma ristabilire un campo fattuale condiviso dove il terrorismo resti terrorismo e la difesa resti difesa».
Nel medio periodo, la stabilità passa «da un disegno regionale: sicurezza per Israele, responsabilizzazione degli attori arabi disponibili, esclusione progressiva delle proxy iraniane, ricostruzione sotto garanzie reali e controlli stringenti». L’Europa, conclude Mancini, «deve smettere i panni del moralismo intermittente: servono scelte nette, alleanze solide e strumenti adeguati a una competizione di lungo corso». Ambiguità e doppi standard, avverte, «sono benzina per chi vuole allargare il fronte; sostenere Israele, con fermezza e senza indulgenze, significa difendere anche la sicurezza europea».
Lo 007 Marco Mancini: come si fa a non capire che Italia e Israele devono difendersi insieme? Lo 007 Marco Mancini: come si fa a non capire che Italia e Israele devono difendersi insieme? Lo 007 Marco Mancini: come si fa a non capire che Italia e Israele devono difendersi insieme?