Lo scorso sabato, appena terminata la partita della Nazionale spagnola contro la Georgia, quasi 53.000 persone hanno affollato le tribune del San Mamés (stadio dell’Athletic Bilbao) per assistere all’incontro tra la “Nazionale” dei Paesi Baschi e quella della Palestina.
L’amichevole, concepita sia come atto di sostegno alla popolazione di Gaza sia come spinta al riconoscimento ufficiale della Nazionale basca – la cosiddetta Euskal Selekzioa – è iniziata con gli inni della Palestina e della Comunità autonoma basca, con il cerchio centrale del campo coperto da un frammento del Guernica di Pablo Picasso e con un grande mosaico in tribuna che raffigurava la ikurriña (bandiera basca), la bandiera della Palestina e il messaggio “Stop Genocide”. Inoltre le formazioni titolari hanno posato per i fotografi prima separatamente: i Paesi Baschi dietro un cartello con lo slogan “Ofizialtasuna” (riconoscimento ufficiale) e la Palestina con uno striscione che recitava “Stop Genozide” [sic]. L’ultima foto è stata scattata davanti a un cartello con lo slogan «Bakea-Peace», prima del minuto di silenzio in memoria delle vittime di Gaza. Non è stato però dedicato nemmeno un secondo alle vittime del 7 ottobre né agli 829 assassinati dall’organizzazione terroristica ETA (Euskadi Ta Askatasuna, Paese Basco e Libertà): 506 membri delle forze di sicurezza, 58 imprenditori, 39 politici, 9 membri della magistratura, 7 legati alle istituzioni penitenziarie e 3 giornalisti, in 3.571 azioni terroristiche da quando iniziò a uccidere nel 1968.
Già prima del fischio d’inizio dell’“incontro sportivo” si sono sentiti cori come «Spagna puttana, Nazionale puttana», «Chi non salta è spagnolo» o «Israele Stato terrorista», perché circa 20.000 manifestanti (secondo i dati della Polizia municipale di Bilbao) hanno partecipato alla marcia abertzale (nazionalista basca) filopalestinese organizzata dalla piattaforma Palestinarekin Elkartasuna e dal collettivo Gazte Koordinadora Sozialista (movimento giovanile che difende un discorso marxista, anticapitalista e anti-istituzionale, che ha rotto con il mondo nazionalista tradizionale perché Bildu, principale forza politica della sinistra nazionalista basca, si è adagiata e ha abbandonato la lotta di classe) e sostenuta dai rappresentanti dei tifosi dei club di calcio baschi, sotto il motto «Gora Palestina erresistentzia! Euskal Herria eta Palestina askatu» (Viva la resistenza palestinese! Libertà per Euskal Herria e Palestina). Chiedono la libertà, ma né le bandiere spagnole né quelle israeliane sono tollerate.
Sotto l’emblema della pace – ma con striscioni in cui si leggeva «Lunga vita alla resistenza palestinese» e «Distruggiamo Israele» in basco, o che riportavano immagini come quella di un calciatore con un mitra e una sciarpa palestinese che giocava a calcio con la testa di Netanyahu – le proteste hanno causato momenti di grande tensione, con cassonetti incendiati e il lancio di razzi, petardi e bottiglie contro gli agenti dell’Ertzaintza (polizia basca).
Dopo il fischio finale, la nazionale palestinese – accompagnata dai giocatori baschi che avanzavano qualche passo dietro di loro – ha effettuato il giro d’onore portando uno striscione con la scritta “Thank you Basque Country”. È curioso, perché è stato il presidente del governo spagnolo a riconoscere lo Stato di Palestina nel maggio 2024 e a mostrare la sua ammirazione per le violente proteste contro la squadra israeliana durante la Vuelta Ciclista a España, in cui sono rimasti feriti 24 agenti della Polizia nazionale, non basca. Sono stati anche due ministri del governo di Pedro Sánchez, Ernest Urtasun (Cultura) e Sira Rego (Infanzia e Gioventù, che ha seguito la partita dalla tribuna), a votare contro la condanna degli attacchi terroristici perpetrati da Hamas il 7 ottobre al Parlamento europeo. Ed è il governo spagnolo che consente al presidente del governo basco, Imanol Pradales, di affermare che Euskadi «è una nazione» e che aspira allo status sportivo ufficiale «sotto tutti gli aspetti».
Ma l’uomo è l’unico animale che inciampa due volte sulla stessa pietra, perciò la storia si ripeterà il 18 novembre: solo che questa volta sarà la “Nazionale” catalana ad affrontare la Palestina. È difficile capire perché si «morda la mano che ti dà da mangiare». In realtà sembra che nemmeno loro abbiano le idee chiare: quando la Federazione calcistica palestinese ha promosso le partite sui social media con la bandiera della Spagna, i separatisti l’hanno costretta a sostituirla con quelle dei Paesi Baschi e della Catalogna, gli stessi che chiedono la libertà.
Lo scorso sabato, appena terminata la partita della Nazionale spagnola contro la Georgia, quasi 53.000 persone hanno affollato le tribune del San Mamés (stadio dell’Athletic Bilbao) per assistere all’incontro tra la “Nazionale” dei Paesi Baschi e quella della Palestina.
L’amichevole, concepita sia come atto di sostegno alla popolazione di Gaza sia come spinta al riconoscimento ufficiale della Nazionale basca – la cosiddetta Euskal Selekzioa – è iniziata con gli inni della Palestina e della Comunità autonoma basca, con il cerchio centrale del campo coperto da un frammento del Guernica di Pablo Picasso e con un grande mosaico in tribuna che raffigurava la ikurriña (bandiera basca), la bandiera della Palestina e il messaggio “Stop Genocide”. Inoltre le formazioni titolari hanno posato per i fotografi prima separatamente: i Paesi Baschi dietro un cartello con lo slogan “Ofizialtasuna” (riconoscimento ufficiale) e la Palestina con uno striscione che recitava “Stop Genozide” [sic]. L’ultima foto è stata scattata davanti a un cartello con lo slogan «Bakea-Peace», prima del minuto di silenzio in memoria delle vittime di Gaza. Non è stato però dedicato nemmeno un secondo alle vittime del 7 ottobre né agli 829 assassinati dall’organizzazione terroristica ETA (Euskadi Ta Askatasuna, Paese Basco e Libertà): 506 membri delle forze di sicurezza, 58 imprenditori, 39 politici, 9 membri della magistratura, 7 legati alle istituzioni penitenziarie e 3 giornalisti, in 3.571 azioni terroristiche da quando iniziò a uccidere nel 1968.
Già prima del fischio d’inizio dell’“incontro sportivo” si sono sentiti cori come «Spagna puttana, Nazionale puttana», «Chi non salta è spagnolo» o «Israele Stato terrorista», perché circa 20.000 manifestanti (secondo i dati della Polizia municipale di Bilbao) hanno partecipato alla marcia abertzale (nazionalista basca) filopalestinese organizzata dalla piattaforma Palestinarekin Elkartasuna e dal collettivo Gazte Koordinadora Sozialista (movimento giovanile che difende un discorso marxista, anticapitalista e anti-istituzionale, che ha rotto con il mondo nazionalista tradizionale perché Bildu, principale forza politica della sinistra nazionalista basca, si è adagiata e ha abbandonato la lotta di classe) e sostenuta dai rappresentanti dei tifosi dei club di calcio baschi, sotto il motto «Gora Palestina erresistentzia! Euskal Herria eta Palestina askatu» (Viva la resistenza palestinese! Libertà per Euskal Herria e Palestina). Chiedono la libertà, ma né le bandiere spagnole né quelle israeliane sono tollerate.
Sotto l’emblema della pace – ma con striscioni in cui si leggeva «Lunga vita alla resistenza palestinese» e «Distruggiamo Israele» in basco, o che riportavano immagini come quella di un calciatore con un mitra e una sciarpa palestinese che giocava a calcio con la testa di Netanyahu – le proteste hanno causato momenti di grande tensione, con cassonetti incendiati e il lancio di razzi, petardi e bottiglie contro gli agenti dell’Ertzaintza (polizia basca).
Dopo il fischio finale, la nazionale palestinese – accompagnata dai giocatori baschi che avanzavano qualche passo dietro di loro – ha effettuato il giro d’onore portando uno striscione con la scritta “Thank you Basque Country”. È curioso, perché è stato il presidente del governo spagnolo a riconoscere lo Stato di Palestina nel maggio 2024 e a mostrare la sua ammirazione per le violente proteste contro la squadra israeliana durante la Vuelta Ciclista a España, in cui sono rimasti feriti 24 agenti della Polizia nazionale, non basca. Sono stati anche due ministri del governo di Pedro Sánchez, Ernest Urtasun (Cultura) e Sira Rego (Infanzia e Gioventù, che ha seguito la partita dalla tribuna), a votare contro la condanna degli attacchi terroristici perpetrati da Hamas il 7 ottobre al Parlamento europeo. Ed è il governo spagnolo che consente al presidente del governo basco, Imanol Pradales, di affermare che Euskadi «è una nazione» e che aspira allo status sportivo ufficiale «sotto tutti gli aspetti».
Ma l’uomo è l’unico animale che inciampa due volte sulla stessa pietra, perciò la storia si ripeterà il 18 novembre: solo che questa volta sarà la “Nazionale” catalana ad affrontare la Palestina. È difficile capire perché si «morda la mano che ti dà da mangiare». In realtà sembra che nemmeno loro abbiano le idee chiare: quando la Federazione calcistica palestinese ha promosso le partite sui social media con la bandiera della Spagna, i separatisti l’hanno costretta a sostituirla con quelle dei Paesi Baschi e della Catalogna, gli stessi che chiedono la libertà.
L’incontro tra le due non-nazionali di due non-nazioni

