L’ebraismo negli Stati Uniti vive oggi una fase complessa, segnata da contraddizioni interne e da sfide esterne che ne stanno ridefinendo il ruolo sociale e politico nella società americana. Da un lato, la comunità ebraica resta una delle più integrate e influenti: con un livello di istruzione mediamente molto alto, una rappresentanza politica stabile e una forte presenza nei mondi culturale, economico e accademico. Dall’altro, emergono tuttavia criticità che ne minacciano la coesione, l’identità e naturalmente la sicurezza.
Negli ultimi anni, infatti, l’antisemitismo è tornato a crescere, alimentato sia dalla destra radicale sia da settori della sinistra anche non estrema. Secondo l’Anti-Defamation League (ADL), il 2024 ha registrato un picco di atti antisemiti, con un aumento significativo di aggressioni, atti di vandalismo e soprattutto una costante propaganda ostile al popolo ebraico. Le tensioni legate al conflitto israelo-palestinese contribuiscono a una narrazione sempre più polarizzante, nella quale ampi settori della sinistra progressista accusano Israele di «colonialismo» e «apartheid», mentre l’estrema destra continua a diffondere teorie complottiste sugli ebrei come vertice delle élite globaliste. Ne risulta un ambiente ostile in cui gli ebrei americani si trovano attaccati da entrambe le estremità dell’arco politico.
Per comprenderne le dinamiche, occorre ricordare che l’ebraismo americano si articola grosso modo in tre grandi filoni: ortodosso (a sua volta diviso tra ultraortodossi e moderni), conservativo e riformato. Le tensioni tra questi gruppi — specie sulla definizione dell’identità ebraica, sul tema delle conversioni e sul rapporto con Israele — sono aumentate negli ultimi anni. L’ebraismo riformato, numericamente maggioritario, tende a proporre una visione secolarizzata e progressista, mentre l’ortodossia mantiene posizioni tradizionali, spesso vicine alla destra americana. A ciò si aggiunge l’elevato tasso di assimilazione e di matrimoni misti, fenomeni che alcune correnti considerano una minaccia alla sopravvivenza dell’identità ebraica negli USA.
La relazione con lo Stato di Israele, un tempo collante fondamentale della diaspora, non rappresenta più un riferimento unanime. Le generazioni più anziane continuano a vedere in Israele un baluardo identitario. Al contrario, una parte crescente dei giovani — soprattutto riformati — si sta allontanando dallo Stato ebraico, influenzata dalle critiche alle sue politiche e dal desiderio di dissociarsi da conflitti percepiti come «coloniali» o legati al cosiddetto «complesso militare-industriale».
Da ciò deriva un crescente senso di disconnessione culturale. Molti giovani ebrei non parlano più ebraico, frequentano raramente le sinagoghe o le comunità e preferiscono definirsi in termini culturali o etici — come «cultural Jews» o «Jews of no religion» — piuttosto che religiosi. Al contempo, chi cerca un’esperienza spirituale più profonda sembra attratto dalle espressioni più ortodosse, come il movimento Chabad. Il risultato è duplice: da un lato si fatica a trasmettere un senso di appartenenza intergenerazionale, dall’altro si assiste a un irrigidimento religioso centrato su interpretazioni ortodosse e quasi esclusivamente ashkenazite.
In questo scenario, l’ebraismo americano si trova di fronte alla sfida cruciale della coesione interna e del rapporto con Israele. Per una parte significativa delle nuove generazioni, soprattutto tra i più secolarizzati, Israele non è più un punto di riferimento identitario, ma un’entità politica controversa. Questa frattura rischia di indebolire il senso di appartenenza collettivo e di ostacolare una risposta unitaria all’antisemitismo, sempre più intrecciato con le polemiche sul conflitto mediorientale.
Per ricostruire una comunità condivisa, serve un dialogo aperto e non ideologico, che valorizzi la pluralità di sensibilità senza rinunciare al legame storico e culturale con lo Stato ebraico. La capacità degli ebrei americani di affrontare questa fase delicata dipenderà dalla loro attitudine a bilanciare integrazione, identità e un rapporto maturo con Israele.
Non si tratta di difendere acriticamente ogni scelta dei governi israeliani, ma di riaffermare una connessione fondata su valori comuni, memoria storica e solidarietà. In un’America polarizzata, dove l’antisemitismo cresce da entrambe le estremità dello spettro politico, il rafforzamento di questa consapevolezza deve tradursi in una presenza pubblica più forte, capace non solo di contrastare l’odio, ma anche di contribuire attivamente alla difesa della democrazia e della convivenza civile.
L’identità contesa: l’ebraismo americano tra integrazione disconnessione e nuove sfide L’identità contesa: l’ebraismo americano tra integrazione disconnessione e nuove sfide L’identità contesa: l’ebraismo americano tra integrazione disconnessione e nuove sfide