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Licenza di uccidere (attenzione, però: solo gli ebrei)

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 5 min
Licenza di uccidere (attenzione, però: solo gli ebrei)

Sono caduti tutti i veli. I freni. Le prerogative dello stato di diritto, i pilastri del contratto sociale, del patto di civiltà che ci lega. Oggi si può dire che si vuole uccidere un ebreo, anzi: tutti gli ebrei. E non succede niente. Niente di penalmente rilevante, almeno. Piuttosto si riceve qualche applauso.

Negli Stati Uniti, alla People’s Conference for Palestine in Michigan, un relatore ha dichiarato senza esitazioni: «Che siano in Israele, a Tel Aviv, a Washington, in Germania, in Europa: vanno eliminati. Vanno neutralizzati». Non un lapsus, non un eccesso verbale: un proclama di sterminio, gridato davanti a un pubblico plaudente. Così si infrange il patto fondativo delle democrazie, quello che dopo Auschwitz avrebbe dovuto essere inviolabile: mai più la parola “sterminio” ammessa nello spazio pubblico.

Qui non c’è più il terreno del dibattito politico, né quello della critica legittima a un governo. Siamo nell’odio puro, nella sua nudità, sdoganato e rivendicato come un vanto. La cosa più inquietante non è solo la brutalità del messaggio, ma la sua normalizzazione: viene urlato davanti a un pubblico, in un congresso, tra applausi e silenzi complici. È la demolizione del patto non scritto che regge le democrazie: dopo Auschwitz, mai più la parola “sterminio” avrebbe dovuto trovare cittadinanza nello spazio pubblico.

E mentre negli Stati Uniti l’odio si fa parola d’ordine, in Europa prende la forma della piazza violenta. A Londra, la polizia ha arrestato 890 persone durante una protesta a sostegno di Palestine Action, gruppo messo al bando dalle autorità britanniche. 857 manifestanti sono stati fermati in base al Terrorism Act 2000 per aver sostenuto un’organizzazione illegale, altri 33 per reati comuni, tra cui aggressioni agli agenti.

L’intelligence britannica, in un documento recentemente desecretato, rivela chi sia davvero Palestine Action: un gruppo che proclama di voler sostenere la causa palestinese ricorrendo a tattiche di azione criminale diretta, volte a bloccare la vendita di armi a Israele. Dal 2020 ha promosso attacchi e danneggiamenti sistematici, superando la soglia dell’attivismo e trasformandosi in terrorismo.

Il dossier elenca episodi precisi: l’attacco a Thales a Glasgow nel 2022, quello a Instro Precision nel Kent nel 2024, fino a Elbit Systems a Bristol. Colpire infrastrutture strategiche per la sicurezza nazionale e vantarsene pubblicamente: questo è oggi Palestine Action. Un’organizzazione che non solo prepara e organizza azioni violente, ma le celebra e le diffonde come modello, offrendo consigli pratici ai suoi membri per compiere nuovi atti. L’intelligence britannica osserva che si tratta di un gruppo che non si limita a disobbedienza civile, ma che promuove e incoraggia apertamente il terrorismo, rendendolo parte della sua narrazione politica.

C’è un filo rosso che lega le scene di cui stiamo parlando: l’antisemitismo militante che torna a mostrarsi senza maschere, rivendicando la violenza contro gli ebrei e contro le istituzioni democratiche che li difendono. Non è libertà di opinione, ma apologia di genocidio. Non è protesta politica, ma sostegno a gruppi terroristici.

E in Italia? Le manifestazioni si moltiplicano. Anche violente. «Dichiariamo fin da subito che se la Flotilla sarà fermata, ci mobiliteremo per bloccare il porto di Venezia. È lì che continueremo la nostra azione, trasformando lo sdegno in azione diretta, la solidarietà in disobbedienza», hanno affermato i Centri sociali del NordEst, insieme al sindacato Adl Cobas di Venezia, riprendendo il messaggio lanciato dai camalli del Porto di Genova, che avevano minacciato, in caso di blocco della Gaza Sumud Flotilla, di «non far uscire più un chiodo» dallo scalo ligure.

Il contagio è evidente: la retorica estremista diventa prassi di piazza. Ieri un concerto di Leo Gassman è stato interrotto da decine di persone, munite di bandiere palestinesi, al coro di “Free Palestine”. Volevano salire sul palco: la security lo ha impedito. Ma riproveranno, ad altri concerti, eventi, appuntamenti pubblici. L’onda dell’odio non conosce confini e prova a infiltrarsi ovunque, scambiando l’aggressione per impegno civile, la minaccia per gesto politico.

L’Europa dovrebbe trovare una cabina di regia comune per contrastare l’antisemitismo che torna con toni sempre più allarmanti. E con minacce sempre più concrete. Invece, sulle sigle che muovono i fili — sui Fratelli Musulmani, sulle ong, sulle società, sulle testate finanziate dal Qatar — regna un silenzio complice. Oltremanica, il pugno duro contro i manifestanti lo dimostra: si inizia a fare sul serio.

Le autorità inglesi hanno da tempo inserito anche Hamas tra le organizzazioni terroristiche più pericolose al mondo. Come mai Francesca Albanese, la controversa relatrice Onu, non riesce a sottoscrivere questa semplice definizione, peraltro adottata dalle stesse Nazioni Unite? Nei giorni in cui si guarda alla Flotilla con un’infatuazione generosa, francamente ingenua, chiediamo a Francesca Albanese di concordare almeno su un punto: Hamas è il nemico principale del popolo palestinese. E finché ci sarà Hamas, non potranno esserci due popoli e due Stati.


Licenza di uccidere (attenzione, però: solo gli ebrei)
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