Liberare gli ostaggi, disarmare Hamas, lasciare Gaza ai paesi arabi moderati disponibili per l’amministrazione ordinaria, la distribuzione degli aiuti, la ricostruzione. Israele sta combattendo da 20 mesi a Gaza, in Libano, in Siria, in Iran, in Yemen, la guerra più lunga di sempre. Ha ottenuto risultati straordinari grazie a un sistema di difesa e di intelligence che non ha eguali al mondo. Grazie a una capacità tecnologica straordinaria e, soprattutto, grazie a un esercito fatto dal popolo, che quel popolo ha da sempre unito, negli obiettivi (libertà e sicurezza) e nei valori (la vita e la persona).
Israele ha visto morire quasi 1000 giovani militari impegnati in questa lunga guerra. Un’intera generazione di giovani sarà segnata da questo immenso (per un paese di 9 milioni di persone) sforzo bellico. Sono 42 i giovani che si sono suicidati tornando dai luoghi del conflitto dopo il 7 ottobre, tantissimi sono traumatizzati. I riservisti che combattono sono persone che lavorano, professionisti, dipendenti, manager, artigiani, commercianti. Molti di loro hanno subito danni economici enormi in questi lunghi mesi di inattività spesi per andare a difendere il loro paese.
Tutti i governi occidentali (escludendo gli Stati Uniti) hanno voltato le spalle a Israele, l’hanno lasciata combattere da sola il terrorismo islamico, nemico comune. Lo hanno fatto perché deboli, condizionati dagli interessi economici con alcuni paesi musulmani, pressati dalle élite occidentali, e dalle opinioni pubbliche da queste influenzate, che si sono trasformate nel miglior megafono della propaganda delle organizzazioni terroristiche e degli Stati che le armano. Gli ebrei in tutto il mondo sono fatti oggetto di violenta e brutale discriminazione antisemita, perché la propaganda islamica ha liberato l’odio verso gli ebrei che in Europa da sempre cova sotto la retorica della memoria.
Israele ha ottenuto risultati straordinari che possono modificare in modo definitivo il Medio Oriente. Hezbollah e Hamas sono state decapitate. L’Iran è all’angolo, il governo libanese è impegnato nel disarmo di Hezbollah, in Siria il regime di Assad, protetto dall’Iran è stato spazzato via, Giordania, Egitto, Arabia Saudita si sono espresse in modo chiaro a favore del disarmo di Hamas, e delle organizzazioni terroristiche sostenute dall’Iran. Persino il Qatar, il cui gioco su più fronti richiederebbe un maggior rigore morale da parte dell’occidente e della stessa Israele, ha assunto la medesima posizione.
Gli Accordi di Abramo hanno resistito al 7 ottobre e a questi lunghi mesi di guerra. I rapporti economici tra i paesi aderenti non hanno subito nessuna restrizione, anzi hanno visto ulteriori sviluppi.
Ma dopo 20 mesi di guerra dentro Gaza (il cui territorio è lo 0,007% del Dombass), gli ostaggi sono ancora lì, (la liberazione degli ostaggi è avvenuta a novembre del 2023 e a gennaio del 2024 prevalentemente grazie ad accordi politici più che da azioni militari) Hamas continua a reclutare giovani, e Gaza è diventata un grande set cinematografico da cui parte la propaganda di Hamas, alimentata anche dagli inevitabili errori che, in una condizione di conflitto di questo tipo, IDF non può evitare. Israele ha vinto la guerra ma è stata sconfitta, travolta, sul terreno della comunicazione.
È evidente che oggi c’è una opportunità politica per costruire un futuro sicuro e prospero per Israele e per tutto il Medio Oriente, in cui le forze dell’odio e del terrore siano definitivamente disarmate e sconfitte.
Oggi Israele non deve essere lasciata sola, Israele non deve isolarsi.
Il progetto di occupare Gaza City sembra essere stato elaborato con l’intento di accontentare i due soggetti che oggi condizionano Netanyahu: gli alleati di governo che spingono per la vittoria finale e teorizzano l’annessione di Gaza e della Cisgiordania; e gli Usa con i paesi arabi moderati, quando si dà a tale decisione una valenza negoziale e la prospettiva di far entrare gli arabi a Gaza dopo l’occupazione.
Ma il progetto richiederebbe mesi per essere realizzato e gigantesche responsabilità e ancora il prezzo di tante vite spezzate: la evacuazione di 900.000 palestinesi, la responsabilità in capo a Israele di gestire gli aiuti umanitari, alimentare la popolazione, gestire l’ordine pubblico, la sanità, con la continua minaccia per i giovani soldati israeliani di cadere nelle imboscate che i terroristi di Hamas e del Jihad, dai loro tunnel, continueranno a tendere. Alimentando ogni giorno la efficiente e ricca macchina della propaganda di Hamas.
È evidente che in questi mesi di preparazione dell’occupazione gli ostaggi morirebbero (basta riguardare i video di Rom Braslavsky e di Evyatar David, quelli dei giorni scorsi e quelli di marzo scorso per sapere che hanno i giorni contati). È altrettanto evidente che questa strategia non fa che raffreddare la disponibilità, per ora timidamente espressa dai paesi arabi moderati e ulteriormente raffreddare Trump. Senza parlare dei governi europei, assenti ieri e ininfluenti oggi. Il progetto è irrealizzabile, ma anche come pura mossa negoziale, esso è letale per gli ostaggi e probabilmente inutile nei suoi effetti deterrenti: la più volte annunciata minaccia dell’”inferno” non ha minimamente smosso Hamas che anzi continua a trarre profitto dalle divisioni interne al mondo occidentale.
Israele ha raggiunto risultati straordinari nella sua storia e anche in questi 20 mesi, li ha raggiunti perché, nonostante le profonde divisioni interne politiche e religiose, il popolo di Israele si è unito per combattere l’odio dell’Islam radicale. Gli israeliani stanno vivendo dal 7 ottobre un drammatico dolore collettivo, i familiari degli ostaggi, i familiari delle vittime, dei ragazzi suicidi, dei ragazzi che combattono a Gaza, pur tra profonde divisioni alimentate dalla politica più radicale, non hanno smesso di combattere, non hanno smesso di sperare.
Israele, insieme agli Stati Uniti e ai paesi arabi moderati, deve fare di tutto per liberare gli ostaggi subito se non vuole essere distrutta da quel dolore. Israele può tenere unito il suo popolo, Israele può uscire dall’isolamento e trovare finalmente la propria sicurezza.
Liberare gli ostaggi, ora: Israele tra vittoria militare e sconfitta comunicativa Liberare gli ostaggi, ora: Israele tra vittoria militare e sconfitta comunicativa Liberare gli ostaggi, ora: Israele tra vittoria militare e sconfitta comunicativa