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Libano. Hezbollah travestito da contadino, Israele costretto alla pazienza armata

Shira Navon

Tempo di Lettura: 3 min
Libano. Hezbollah travestito da contadino, Israele costretto alla pazienza armata

Al confine nord di Israele la guerra cammina piano e con la zappa in mano. È forse questa l’immagine che meglio descrive la Galilea: uomini di Hezbollah che si fingono contadini, lavorano la terra, si avvicinano alle postazioni delle Forze di Difesa israeliane e, sotto l’apparenza di una normale attività agricola, raccolgono informazioni, misurano la vigilanza, controllano tempi e reazioni. Nulla di folkloristico e men che mai romanzesco, ma una tecnica operativa deliberata, segnalata con insistenza dai riservisti sul terreno e confermata dai livelli di comando.

Il Comando Settentrionale dell’IDF non minimizza e anzi avverte apertamente del rischio di attacchi mirati e infiltrazioni, mentre Hezbollah – e in particolare la forza Radwan – tenta di ricostruire capacità danneggiate dalle operazioni israeliane degli ultimi mesi. Le infrastrutture non sono più quelle di prima, soprattutto nel sottosuolo, ma la determinazione criminale resta intatta. E dietro, come sempre, c’è Teheran che incoraggia e soprattutto finanzia.

La situazione è paradossale, e i soldati lo dicono senza giri di parole. Vedere uomini armati fino a ieri di missili oggi avanzare con attrezzi agricoli provoca frustrazione, quasi una sensazione di teatro dell’assurdo. I riservisti parlano di una risposta troppo prudente, di un’attesa che espone al rischio. «O li arresti o li allontani con il fuoco», dicono. Ma la linea imposta dall’alto è un’altra: contenere, documentare e accumulare prove indiscutibili.

Israele sa che ogni colpo al nord non è solo un fatto militare ma politico, osservato con il microscopio dalla comunità internazionale. Per questo, mentre sul campo si moltiplicano le segnalazioni e persino le operazioni in profondità nel territorio libanese, a Gerusalemme si lavora su un altro fronte: quello della legittimità. La parola chiave è preparazione. Preparazione diplomatica, soprattutto verso Washington, nel caso in cui un’operazione su larga scala contro Hezbollah diventi inevitabile.

Nel frattempo, l’IDF ha optato per una strada intermedia: cartelli affissi vicino a case civili in Libano, avvisi espliciti a chi è stato identificato come agente di Hezbollah. Un messaggio chiaro, ma ancora sotto la soglia dello scontro aperto. Si tratta di deterrenza a bassa intensità, una strategia che guadagna tempo ma che non dà garanzie all’infinito.

Il problema è che Hezbollah vive proprio di queste zone grigie. Sa mimetizzarsi, sa usare i civili come copertura, sa spingere l’avversario a fare la prima mossa. Ogni finto contadino che si avvicina a una postazione israeliana non è solo una minaccia tattica, ma un test politico: fino a che punto Israele può tollerare l’ambiguità prima di essere accusato di escalation?

Dopo il 7 ottobre, Israele ha imparato a diffidare dei segnali deboli. Eppure oggi, al nord, è costretto a conviverci. La pazienza armata, più che una virtù, è una necessità imposta dal contesto internazionale. Resta una scommessa rischiosa: chi oggi si aggira con la zappa e finge di coltivare un orticello, domani potrebbe tornare senza. E allora il prezzo dell’attesa potrebbe rivelarsi troppo alto.

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