È troppo facile decidere di non smarcarsi da un movimento così trascinante come il Pro-Pal, che pare spontaneo e passionale, nato in sostegno e per denuncia dell’ingiustizia che il popolo palestinese sta subendo. E se esiste, infatti, una seria violazione dei diritti umani a Gaza e nei «territori», è altrettanto evidente che quel movimento sia ormai sfuggito di mano ai «bene intenzionati», per essere gestito da chi – sull’onda della contestazione autentica – è riuscito a trascinare, esaltando le anime di chi cerca di sentirsi parte di un branco, in un meccanismo comportamentale simile a quello degli ultras negli stadi.
E, a proposito, tra la massa, oltre agli slogan condivisi, molti non conoscono nemmeno cosa sia realmente «l’oggetto del contendere». Da tempo il movimento produce infatti risultati irrazionali e perfino contrari a quelli auspicati – e auspicabili – che ne hanno determinato la nascita. All’ombra del caos si sono consolidati schieramenti di tifoserie che ormai difendono gli opposti a prescindere: sei con noi o contro di noi, come se tutto fosse bianco o nero.
È un percorso di non ascolto, di rifiuto di tutto ciò che è fuori dal sentire comune di parte, perché non si ragiona: basta imprimere l’appartenenza. C’è chi getta il sasso nelle torbide acque con consapevolezza, e per questo non nasconde la mano, per proprio beneficio personale… gli opinionisti che utilizzano la TV per guadagnare «ascolti», i politici, ahimè, abituati a «sputare sentenze» come uno degli strumenti della loro valigia degli attrezzi. Ma è ancor più grave quando lo fanno alcuni intellettuali, come nell’infelice recente articolo di Vito Mancuso, dal disgustoso sapore che credevo superato.
Sono stupito, Giuseppe, del tuo «orgoglio» per aver firmato un documento di herem («boicottaggio») delle accademie israeliane. Contro chi? Cosa? Perché? E soprattutto: con quale utilità? Mancuso ha fatto un uso fazioso del termine herem, che io riprendo qui solo per chiarire: nella tradizione ebraica è un atto estremo, che solo un tribunale, dopo un iter di richiami e verifiche, può emanare e, guarda caso, è rarissimo che sia stato messo in atto!
Lo Stato d’Israele è una realtà complessa, attualmente governata da una coalizione che non è nemmeno maggioranza nel Paese. È pienamente responsabile delle proprie azioni, anche di gesti imperdonabili, ma esiste anche una considerevole fetta della popolazione contraria, che è gravemente sottomessa, ricattata, stanca e abbattuta da quel regime. Seguire i movimenti Pro-Pal o gli pseudo-pacifisti facendo di tutta l’erba un fascio è, in realtà, un’azione di guerra con i paraocchi.
Lo so: è facile aderire – e con convinzione – ad azioni che riguardano la casa degli altri, meglio se lontana, piuttosto che fare introspezione sui propri gesti e sugli scheletri nell’armadio di casa propria.
Nelle università israeliane, e tra gli intellettuali, la gran parte è contraria all’attuale governo e si sacrifica, giorno dopo giorno, per contrastarlo. Operano al limite della disperazione. E voi, colleghi, seguite chi già da tempo ha dichiarato una «guerra santa», senza distinguo, in toto, contro Israele, contro gli israeliani e – ormai che ci siamo – contro gli ebrei?
I boicottaggi sono atti gratificanti per chi li emana: danno visibilità alla «partecipazione», ma sono sempre sommari, con risultati slegati rispetto a ciò che si intende combattere. La Coop, per esempio, ha tolto dai suoi scaffali due prodotti «simbolo» israeliani: la tahina di un produttore sì israeliano, ma arabo; e le arachidi Hanoch, coltivate e commercializzate dai kibbutz del Negev occidentale, quasi tutti decisamente schierati culturalmente a sinistra dell’arco politico israeliano, e impegnati – per ideologia – a solidarizzare e ad alleviare le condizioni dei palestinesi di Gaza.
Purtroppo per loro, il 7 ottobre è stata una vera ecatombe: molti sono stati rapiti, altri ammazzati. E se non bastasse questa frustrazione, oggi sono beffati, per il loro stesso credo di vita, dal proprio governo e dalla sinistra italiana ed europea, che ha abbandonato – per motivi storici – la sinistra in Israele. Le stesse sinistre nelle democrazie occidentali preferiscono ciecamente contestare chi sarebbe idealmente del loro stesso schieramento, senza impegnarsi seriamente – oltre l’assistenzialismo – né con i partiti simili in Israele, né in Palestina, per sostenere la crescita culturale e politica di una società svincolata dal tribalismo e dallo sfruttamento.
L’absurdum del boicottaggio militante è che, invece di costruire tolleranza, agisce condividendo gli strumenti e il linguaggio di chi fa la guerra.
Credevo – e tu, Giuseppe, mi hai dimostrato che mi sbagliavo – che la scienza, la sapienza, la sanità, l’educazione, insomma la Cultura genuina, potessero superare il comportamento irrazionale e religioso del fanatismo, dell’interesse politico, dove non è il grido di plebe a vincere.
Lettera a un amico – Tu quoque, Brute, fili mi! Lettera a un amico – Tu quoque, Brute, fili mi! Lettera a un amico – Tu quoque, Brute, fili mi!