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Leonardo, il Qatar e la politica estera italiana: il gioco pericoloso degli interessi

Nicoletta Ferragni

Tempo di Lettura: 3 min
Leonardo, il Qatar e la politica estera italiana: il gioco pericoloso degli interessi

L’Italia ha recentemente preso posizione contro l’attacco israeliano ai vertici di Hamas a Doha, adottando una linea diplomatica che a molti è parsa indulgente verso l’Emirato. Una scelta che non nasce dal nulla, ma che trova spiegazione nella fitta rete di interessi economici e industriali che legano il nostro Paese al Qatar.

Al centro di questa relazione c’è Leonardo, la principale azienda italiana della difesa, controllata in parte dallo Stato. Leonardo non si limita a vendere tecnologie. In Qatar ha messo radici profonde: ha fornito sistemi di combattimento e sorveglianza per sette nuove unità navali costruite da Fincantieri, sviluppato un Naval Operation Centre destinato a coordinare le operazioni marittime di Doha, e stipulato contratti miliardari come quello sugli elicotteri NH-90, firmato con Airbus e valutato circa tre miliardi di euro. A questi si aggiungono progetti più recenti, come l’Omega 360, segno che la cooperazione non è episodica ma strutturale.

Di fatto, una parte significativa dell’export italiano verso il Qatar, ma anche verso altri paesi arabi, passa per la difesa. Ogni volta che Roma interviene con toni critici verso Israele o con accenti protettivi nei confronti del mondo arabo, non difende soltanto la fragile stabilità regionale: difende anche partner commerciali che valgono miliardi e, soprattutto, sostiene la redditività della propria industria militare. È una realtà che non riguarda solo l’Italia: in tutto il mondo la politica estera è spesso condizionata dal peso degli interessi economici e industriali. Sembra cinico, ma è così, per molte ragioni tra cui il benessere nazionale e la sicurezza collettiva.

Qui però si apre una contraddizione. Il Qatar, mentre si propone come mediatore internazionale, ospita e finanzia da anni la leadership di Hamas. Difendere Doha non significa automaticamente difendere Hamas, ci mancherebbe, ma la scomoda vicinanza dell’Emirato a un’organizzazione terroristica rende inevitabile che le posizioni europee vengano lette come ambigue. E quando l’Italia si schiera contro l’azione israeliana, la percezione è che a prevalere non sia la coerenza con i principi morali, bensì la tutela di relazioni strategiche e commerciali.

Dobbiamo però riconoscere che la posta in gioco è più ampia. Il Qatar ospita basi militari americane ed è partner industriale cruciale per l’Occidente intero, non solo per l’Italia, oltre a rimanere un mediatore affidabile in un sistema di relazioni precario. Proprio per questo, l’Europa dovrebbe usare il proprio peso economico come leva politica e, piuttosto che limitarsi a condanne sporadiche, legare il mantenimento di rapporti privilegiati al riconoscimento dello Stato di Israele da parte di Doha e a una rottura chiara e definitiva con Hamas. Solo in questo modo l’interesse economico e quello politico potrebbero convergere, evitando che la difesa dei contratti si traduca in un cedimento di credibilità internazionale o che, viceversa, si condanni il nostro Paese (e il Continente) a un ruolo marginale sulla scena globale.

In assenza di una condizionalità esplicita, il paradosso resta: Stati che si proclamano garanti dei valori europei finiscono per difendere nei fatti attori che offrono coperture alle organizzazioni terroristiche. È questa la sfida che l’Italia e l’Europa devono affrontare: non negare la realtà degli interessi economici, ma saperli trasformare in strumento di pressione politica, per non restare intrappolati in una diplomazia che rischia di apparire complice.


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