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L’ennesimo fallimento della cultura “woke”: femminismo, violenza e verità negate

Barbara Covili

Tempo di Lettura: 3 min
L’ennesimo fallimento della cultura “woke”: femminismo, violenza e verità negate

Ci sono testimonianze che non possono essere archiviate come propaganda. Non perché siano più emotive di altre, ma perché mettono in crisi una narrazione ideologica costruita con cura.

La testimonianza di Romi Gonen, ex ostaggio israeliana, appartiene a questa categoria.
Dopo essere stata rapita il 7 ottobre, Romi è rimasta prigioniera per mesi nella Striscia di Gaza. In un’intervista televisiva ha raccontato di essere stata ripetutamente violentata dai suoi carcerieri, uomini che non indossavano uniformi, che non combattevano al fronte, che non erano “mostri” isolati ma parte di quel tessuto civile che in Occidente viene spesso raccontato come estraneo alla violenza. Uno di loro si presentò come infermiere, approfittando di una ferita per abusare di lei; altri parteciparono alla sua detenzione e alle aggressioni, in un clima di minaccia costante, con una pistola puntata alla testa per impedirle di parlare.

È un racconto che rompe un tabù. Perché costringe a guardare una verità scomoda: la violenza sessuale non è stata un incidente marginale, né l’opera esclusiva di combattenti fuori controllo. È stata possibile dentro un contesto sociale che l’ha consentita, nascosta, normalizzata.
Eppure, davanti a questa testimonianza, il silenzio è stato totale.

Non solo sui social. Non solo nei campus. Ma anche in quelle ONG femministe e organizzazioni internazionali che per anni hanno rivendicato il ruolo di custodi universali della parola delle donne. Molte di loro hanno evitato di pronunciarsi con chiarezza sulle violenze sessuali contro le israeliane. Altre hanno scelto formule ambigue, diluendo i fatti in un generico “contesto di guerra”, come se lo stupro fosse una variabile negoziabile.

Anche Sima Bahous, a capo di UN Women, è finita al centro di critiche per una risposta tardiva, prudente, ritrattata. Un primo messaggio che citava le violenze del 7 ottobre è stato rimosso. La condanna esplicita dello stupro come crimine di guerra è arrivata solo dopo settimane di pressioni. Troppo tardi. Troppo poco.

Questo silenzio non è un incidente. È lo stesso silenzio che accompagna da anni le donne iraniane che scendono in piazza per togliersi il velo, per emanciparsi da un regime che le punisce, le arresta, le uccide. Anche lì, l’Occidente progressista si commuove a intermittenza. Anche lì, il femminismo istituzionale fatica a schierarsi quando l’oppressione non rientra nella cornice ideologica corretta.
Il punto, allora, non è solo Romi Gonen. Il punto è ciò che il suo racconto rivela.

La cultura woke, che si è presentata come nuovo orizzonte morale, non ha prodotto maggiore tutela per le donne, né maggiore giustizia collettiva. Ha prodotto gerarchie di vittime, empatie condizionate, diritti applicabili solo a identità considerate “accettabili”.

Mentre si moltiplicavano ossessioni linguistiche su pronomi, schwa e asterischi, si è perso di vista l’essenziale: la realtà materiale della violenza. Le donne non sono state protette meglio. Alcune, semplicemente, sono state espulse dal campo del riconoscimento morale. Le israeliane stuprate. Le iraniane che vogliono togliersi il velo. Tutte colpevoli di non incarnare la vittima giusta.

Il risultato non è stato un progresso, ma una nuova marginalizzazione, più colta, più presentabile, più ipocrita. Un progressismo che parla di inclusione mentre esclude. Che invoca l’universalismo ma pratica una forma di razzismo morale, decidendo chi merita ascolto e chi può essere sacrificato.

Se il femminismo vuole sopravvivere come battaglia di civiltà, dovrà liberarsi di questa gabbia ideologica. Perché una cultura che non crede alle donne quando raccontano uno stupro, se quelle donne sono israeliane, non è emancipazione.
È solo un’altra forma di potere. E come ogni potere che nega la realtà, prima o poi, fallisce.


L’ennesimo fallimento della cultura “woke”: femminismo, violenza e verità negate
L’ennesimo fallimento della cultura “woke”: femminismo, violenza e verità negate