Quali lezioni può trarre Israele dagli eventi che, dal pogrom del 7 ottobre, hanno portato fino alla fragile tregua in corso? È emerso ancora una volta — e con più evidente chiarezza — che, nel caso di Israele, la comunità internazionale, anche quando non ne mette in discussione l’esistenza (a condizione che sia in grado di difendersi da sola), ritiene che lo Stato ebraico sia legittimato ad esistere solo «pericolosamente», circondato da avversari che avrebbero il diritto di costringere un popolo a vivere in una guarnigione, in una Fortezza Bastiani condannata ad affrontare quotidianamente i Tartari provenienti dal deserto. Israele non ha mai preso l’iniziativa di combattere: dapprima contro gli Stati confinanti, poi contro le milizie terroristiche al soldo dell’Iran, la cui missione è quella di cancellare «l’entità sionista».
Che cosa altro avrebbe potuto fare uno Stato sovrano, costituito nel 1947 con un voto dell’Onu, dopo il pogrom del 7 ottobre? Presentarsi davanti alla comunità internazionale dichiarando che l’esercito (uno dei più potenti e organizzati) non avrebbe reagito, se non in maniera «proporzionata», per non innescare un conflitto in tutta l’area medio-orientale? Come se dovesse ammettere che, per la pace nel mondo, gli israeliani sono tenuti a convivere con i loro assassini, ai quali devono riconoscere — per quieto vivere — il diritto di bombardarli impunemente?
La cattiva coscienza degli europei nei confronti del nazismo ha favorito il loro trapianto in mezzo agli arabi. È questa la nuova colpa che devono espiare, senza lamentarsi troppo. Era evidente che Hamas aveva teso una trappola (che gli israeliani non sono stati in grado di evitare): costringerli a dire basta e a invadere la Striscia di Gaza, dove i militanti di Hamas avrebbero usato come scudo umano la popolazione civile, provocando l’isolamento internazionale di Israele a un livello tale che nessuno, sano di mente, avrebbe potuto prevedere.Nell’Occidente e nell’Europa che volevano risalire, nei propri principi fondativi, alla tradizione giudaico‑cristiana, sono riemersi e si sono diffusi odi e pregiudizi che si ritenevano confinati nell’immondezzaio della storia.
Si è tornato a perseguire, magari con qualche variante semantica, gli ebrei in quanto tali, come se tutti portassero la responsabilità delle azioni di un governo che è contestato da metà dei cittadini israeliani.Ma quale principio del diritto internazionale impone a Israele di essere uno Stato sovrano a sicurezza limitata, a cui è proibito vincere una guerra scatenata da nemici implacabili? Perché è sempre andata così. Dopo la Guerra dei Sei Giorni, la principale preoccupazione dell’Onu fu quella di far votare all’Assemblea una sfilza di risoluzioni con l’invito a Israele di restituire i territori occupati.
Lo stesso avvenne dopo la Guerra dello Yom Kippur e in occasione delle varie Intifade, periodicamente promosse dalle organizzazioni palestinesi per sabotare gli accordi di pace. Il problema della comunità internazionale, in tutte queste azioni belliche, è sempre stato quello di fermare prima o poi le reazioni israeliane, consentendo ai suoi nemici di prepararsi a una nuova aggressione.Durante la Guerra del Golfo vennero lanciati su Israele 42 missili balistici iracheni, ma il governo fu convinto a non reagire per non turbare la neutralità degli Stati arabi. Anche questa volta è prevalsa la solita linea di appeasement, nonostante l’IDF fosse proiettata a vincere in modo definitivo.
Eppure il contesto era mutato profondamente rispetto a quello delle precedenti guerre: negli ultimi due anni lo Stato ebraico ha potuto avvalersi di una sostanziale solidarietà da parte degli ex nemici arabi, solidarietà che non ha avuto dagli ex amici europei.Ecco perché permangono «ragioni d’Israele»: ha il diritto di non fidarsi del disarmo di Hamas, tanto più dopo che l’esercito libanese si è dichiarato impotente di fronte a Hezbollah; ha il diritto di dubitare di una missione di interposizione sotto l’egida dell’ONU, dopo che l’UNIFIL si è rivelata un rifugio per postazioni missilistiche di Hezbollah sul Golan.
Oggi Israele non è isolato nell’area cruciale del Medio Oriente: i suoi veri nemici sono le bande armate e finanziate dall’Iran.Quella comunità internazionale deve liberarsi del complesso di inferiorità rappresentato da una famosa battuta della comicità ebraica, da Groucho Marx a Woody Allen: «Non mi iscriverei mai a un club che accettasse tra i suoi soci persone come me».
Le lezioni per Israele dopo il pogrom del 7 ottobre
Le lezioni per Israele dopo il pogrom del 7 ottobre

