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Le false mappe della propaganda anti-israeliana

Marco Paganoni

Tempo di Lettura: 6 min
Le false mappe della propaganda anti-israeliana

Circola da tempo una sequenza di quattro mappe, accostate in ordine cronologico, che pretende di raccontare in modo sintetico e definitivo la “questione palestinese” (Fig. 1). L’obiettivo dichiarato è mostrare graficamente – e dunque, parrebbe, in modo incontrovertibile – un inesorabile espansionismo israeliano a danno dei palestinesi. La fortuna di questa infografica è notevole: ne esistono innumerevoli varianti, facilmente rintracciabili online cercando “palestinian loss of land”. Il motivo è chiaro: gli autori hanno costruito un dispositivo comunicativo semplice, immediato ed efficace.

Fig. 1 – Sequenza di quattro mappe cronologiche usata per “narrare” la questione palestinese.

Fig. 1 – Sequenza di quattro mappe cronologiche usata per “narrare” la questione palestinese.



Il problema è che si tratta di un’impostura. Proprio la sua apparente evidenza la rende più insidiosa: come in certi spot pubblicitari, un’idea falsa – l’inarrestabile espansione di Israele a scapito dei palestinesi – viene suggerita e avvalorata attraverso una comunicazione sapientemente ingannevole.

La prima impostura risiede nell’idea stessa che una vicenda storico-politica complessa possa essere raccontata “lasciando parlare le mappe”. Le mappe non parlano: selezionano, tacciono, quindi distorcono. Ognuna richiederebbe spiegazioni essenziali. Si consideri, per esempio, la seconda mappa della serie, che illustra il piano di spartizione approvato dalle Nazioni Unite il 29 novembre 1947. Chi la osserva non ha modo di sapere che quella spartizione – che raccomandava la creazione di due Stati, uno ebraico e uno arabo – fu accettata dal movimento sionista e respinta dai dirigenti arabi palestinesi e dagli Stati arabi, i quali annunciarono all’Onu che ne avrebbero impedito l’attuazione con la forza. È ciò che avvenne: la prima guerra arabo-israeliana, snodo centrale del conflitto, da cui scaturiscono gran parte delle questioni successive, a cominciare da quella dei profughi – arabi ed ebrei. Far credere che il passaggio dalla seconda alla terza mappa sia frutto di un impulso espansionista ebraico, quando fu invece l’esito del tentativo – fallito – del panarabismo di soffocare sul nascere l’indipendenza ebraica su un territorio riconosciuto dall’Onu, significa capovolgere responsabilità e senso dei fatti.

Negli anni Settanta, sequenze analoghe mettevano in evidenza l’occupazione del Sinai.

Fig. 2 – Negli anni Settanta, sequenze analoghe mettevano in evidenza l’occupazione del Sinai.



La seconda impostura consiste nell’omissione, nella sequenza, di tappe intermedie decisive che confuterebbero la tesi di fondo. Scompaiono, per “magia”, tutti i ritiri effettuati da Israele. Nel corso delle guerre combattute per difendersi dai tentativi di annientamento, Israele ha conquistato territori, sì, ma ne ha anche ceduti più volte: si è ritirato dal Libano nel 1949, nel 1978 e nel 2000; da porzioni di territorio siriano nel 1974; dal Sinai nel 1949, nel 1957 e nel 1982; dalle città palestinesi nel 1995; dalla Striscia di Gaza nel 2005. Dove sono le mappe di questi ritiri? Negli anni Settanta circolava una sequenza che, per denunciare l’espansionismo israeliano, metteva in grande evidenza l’occupazione del Sinai (Fig. 2). Che fine ha fatto, oggi, quella mappa? È irrilevante, per la tesi proposta, che Israele abbia restituito due volte – la prima in cambio di promesse poi disattese, la seconda in cambio di un trattato di pace – un territorio grande circa tre volte lo Stato d’Israele? Che “espansionismo” è mai quello di una potenza che, senza essere stata sconfitta militarmente, cede a più riprese territori strategici? È evidente: le mappe dei ritiri non possono comparire, perché mostrerebbero quante volte Israele abbia già accettato di cedere terreno in cambio di una prospettiva di pace. Solo occultandole si può rappresentare Israele come una macchia d’olio che si allarga in modo implacabile.

La terza impostura è annidata nella legenda. Cosa rappresenta l’area colorata in verde? Nella versione di Fig. 1 (e in quasi tutte le altre) si legge: “terra palestinese”. Ma cosa vuol dire? Consideriamo la prima mappa. L’area verde non può indicare la terra “abitata da arabi palestinesi”, poiché in larga parte non era affatto abitata – si pensi alla regione meridionale del Negev, tuttora l’area meno popolata del Paese. Non può significare “proprietà palestinese”: una quota rilevante erano terre demaniali o possedimenti di latifondisti assenteisti con base a Damasco o a Beirut. Ancora meno può voler dire “sovranità palestinese”, dal momento che non è mai esistito, prima o dopo, uno Stato arabo-palestinese sovrano. Dunque, la dicitura “terra palestinese” nella prima mappa è priva di senso: è un falso.

Nella seconda mappa, il verde individua lo “Stato arabo” proposto dall’Onu, che non poté vedere la luce per il rifiuto violento arabo. Non è la fotografia di una realtà sul terreno ma la rappresentazione di una proposta rimasta sulla carta. Giustapporla alle altre mappe è, di per sé, un ulteriore artificio.

Fig. 3 – La dicitura “terra palestinese” sostituita con “terra della umma islamica”, rivelando il sottotesto ideologico.



La terza mappa illustra la situazione scaturita dalla guerra del 1948 e dagli armistizi del 1949. Il verde identifica i territori occupati da Giordania ed Egitto: un dettaglio che la grafica tace con astuzia, lasciando intendere l’esistenza di una qualche indipendenza palestinese.

La quarta mappa è l’unica in cui l’area verde può essere definita, con qualche approssimazione, “terra palestinese”: rappresenta le aree trasferite da Israele all’Autorità Palestinese con gli accordi del 1995. Si tratta dunque di “terre palestinesi” in seguito a un ritiro israeliano, non di un’ulteriore avanzata – contrariamente a quanto la sequenza vorrebbe suggerire. Vale la pena ricordare che la prima forma, pur embrionale, di autogoverno palestinese non nacque per volontà ottomana, britannica, giordana o egiziana: nacque grazie a un accordo fra israeliani e palestinesi. Anche questo, la mappa non lo dice. Né dice che si trattava di un accordo ad interim: l’area palestinese colorata in verde – non quella israeliana – è destinata ad ampliarsi con un accordo definitivo, ampliamento già contemplato nelle proposte avanzate da Israele nel 2000 (governo Barak) e nel 2008 (governo Olmert), respinte dalla controparte.

Cosa sono, allora, queste aree verdi per gli autori della cronistoria? Qual è il comun denominatore che, nella loro logica, le rende un concetto omogeneo da contrapporre alle “terre ebraiche” o israeliane? La risposta affiora in una variante della sequenza (Fig. 3), in cui il velo cade: nella prima mappa, la locuzione vaga e fuorviante “terra palestinese” è sostituita dalla dicitura “terra della umma islamica”. Ecco il sottotesto. Non uno scontro tra due diritti all’autodeterminazione o un contenzioso territoriale fra due popoli e due Stati, ma un presunto diritto eterno della comunità dei fedeli a un controllo totale sulla terra; e l’affronto rappresentato dall’indipendenza conquistata da una minoranza non musulmana – gli ebrei – su una porzione di quella terra. È, paradossalmente, la mappa più onesta della serie, perché svela perché le prospettive di pace e coesistenza restino lontane, nonostante le buone intenzioni – talora in buona fede – di molti.


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