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Landini e la mutazione genetica della Cgil

Giuliano Cazzola

Tempo di Lettura: 3 min
Landini e la mutazione genetica della Cgil

Maurizio Landini accelera la mutazione genetica della Cgil. Bisogna tornare indietro di decenni per trovare un gesto di asservimento tanto indecoroso come quello che ha portato la più grande e gloriosa organizzazione sindacale italiana a rincorrere il sindacalismo radicale di base. Non più per competere tra i lavoratori — che il 19 settembre hanno in gran parte disertato lo sciopero — ma per inseguire i movimenti dell’estremismo: centri sociali, black bloc e compagnia.

In questa corsa disperata verso un nichilismo impotente, la Cgil ha perso per strada le altre confederazioni, non solo la Cisl ma anche la Uil, che pure aveva sostenuto Landini fino allo sciopero generale dell’anno scorso. Lo sciopero di domani tradisce la storia della Cgil. È come se Luciano Lama, nel marzo 1978, avesse portato i lavoratori a scioperare in solidarietà con le Brigate Rosse dopo l’attentato di via Fani.

Non è una provocazione: in quegli anni non mancavano in fabbrica intemerate di estremisti che elogiarono i brigatisti in odio verso la Dc. Lama, commentando il rapimento di Moro, ebbe parole definitive: «Il disegno delle Brigate Rosse è quello di distruggere la libertà, di sommergerla in un bagno di sangue… Non ne nascerebbe una società nuova, ma soltanto un nuovo fascismo o, in alternativa, una guerra civile».

Non intendo paragonare i militanti della cosiddetta “flottilla” ai terroristi, ma resta il fatto che l’odio, la malafede, la demonizzazione degli avversari e la cieca adesione a un’ideologia malata sono tratti comuni. A chi è giovata la pagliacciata della “flottilla” se non ad Hamas? Gli attivisti avevano già ottenuto un risalto mediatico esagerato, riconoscimenti per una presunta “umanità” che odorava d’imbroglio, e appelli alla prudenza persino dal Quirinale, dal Vaticano e dai partiti.

Tutto questo mentre prendeva forma un processo di pace, accolto con interesse internazionale, ma respinto da Hamas. La “flottilla” ha cercato lo scontro con Israele per rafforzare proprio quel rifiuto. Basta guardare al dibattito parlamentare: i prosseneti di Hamas restano tra i pochi al mondo a criticare la proposta di Trump. La sinistra italiana chiede di riconoscere lo Stato di Palestina senza condizioni, nemmeno quelle poste dall’ANP e dalla Lega Araba: il disarmo di Hamas e la liberazione degli ostaggi.

Ed è proprio sugli ostaggi che emergono verità immonde. A Reggio Emilia, il sindaco Pd è stato dileggiato per aver usato la parola “ostaggi” davanti alla nuova Wanda Marchi della sinistra: Francesca Albanese, che considera i massacri del 7 ottobre un riscatto della causa palestinese. Nonostante questo, Albanese accumula cittadinanze onorarie come pulci su un cane randagio. Evidentemente le sue tesi sono condivise.

Intanto due leader europei fanno la figura dei dilettanti: Keir Starmer ed Emmanuel Macron, eredi di Chamberlain e Daladier, hanno portato all’Assemblea generale dell’Onu una parodia pro-palestinese in nome di una pace che sa di disonore. Riconoscere lo Stato di Palestina senza condizioni significa riconoscere Hamas.


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