Emanuele Fiano, ebreo, figlio di deportato, contestato da una folla che di antifascismo non ha più nemmeno il riflesso condizionato. Fischi, urla, slogan di carta velina, tutto perché osa ricordare che Israele non è sinonimo di male. E la sua segretaria, Elly Schlein? Silenzio. Neppure una parola, neppure un gesto. Solo l’invio d’ufficio di un funzionario di partito, il “responsabile ricerca e università”, come se bastasse un titolo accademico per sostituire il coraggio.
Nel Pd, ormai, la coerenza è una patologia da evitare, il senso civico una vecchia abitudine da dismettere. Tutto subordinato alla paura di perdere l’applauso dei militanti, il consenso dei fedeli, la carezza virtuale degli elettori che scambiano la codardia per sensibilità.
Così Fiano resta solo sul palco, Schlein si dissolve tra le pieghe del calcolo e il partito che un tempo si diceva “democratico” si scopre muto, pavido e prono. A furia di non scontentare nessuno, hanno imparato a non rappresentare più nessuno.
La voce del silenzio
I morti sbagliati di Gaza
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