Dopo quasi due anni di guerra possiamo affermare che «Hamas ha vinto». È una provocazione, certo, ma non un’affermazione del tutto infondata. Naturalmente non ha vinto sul campo, né in termini militari o politici. Ma ha prevalso su un terreno più sottile e dannatamente più insidioso: quello delle narrazioni e delle emozioni collettive
Parliamoci chiaro: con l’attacco del 7 ottobre, Hamas non ha solo scatenato una nuova ondata di violenza in Medio Oriente. È riuscito a risvegliare, legittimare e amplificare quell’antisemitismo che in Occidente non era mai davvero scomparso — era solo stato temporaneamente sepolto sotto il peso del senso di colpa per la Shoah. Un antisemitismo latente, silenzioso, fatto di gesti, ammiccamenti e ambiguità, che aspettava solo un pretesto per riaffiorare. E quel pretesto, per molti — anche troppi “amici” — è arrivato con la reazione israeliana all’attacco e con la retorica selettiva dei «diritti umani» e del cosiddetto «antisionismo».
Questo non significa, ovviamente, che ogni azione del governo israeliano — e in particolare dell’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu — debba essere difesa o giustificata. Al contrario, le derive estremiste presenti nella sua coalizione meritano critica, anche severa. Ma confondere la condanna di un governo con il rigetto dell’esistenza stessa del popolo ebraico è un errore tragico, che in troppi oggi commettono con disinvoltura e zelo.
A conferma di questo ritorno dell’odio antiebraico, travestito da militanza politica o “libera opinione”, bastano due episodi recenti: il volo Vueling da cui sono stati fatti scendere ragazzi ebrei francesi, e l’aggressione verbale a una famiglia ebrea in un Autogrill italiano. Non sono episodi isolati. Sono sintomi di un clima culturale sempre più ostile, in cui l’ebreo torna a essere percepito come un corpo estraneo, da zittire o espellere. Ecco la vera vittoria di Hamas: aver reso accettabile — quasi inevitabile — l’odio antiebraico anche fuori dal contesto del conflitto israelo-palestinese.
Hamas ha sfruttato con astuzia la pulsione primordiale dell’odio antiebraico in Occidente. Un odio che, in fondo, è odio per la vita stessa. Perché l’ebraismo è, senza alcun dubbio, la religione della vita: dell’imperfezione che si santifica, della ragione che si fa Legge. E in tempi di crisi — sociale, politica, economica — l’ebreo torna ad essere il capro espiatorio perfetto: colui che rappresenta l’ordine in un mondo disordinato, la colpa in un’epoca che rifiuta ogni responsabilità.
La vittoria di Hamas è tutta qui. Non importa quante atrocità compia, quante prove di brutalità emergano, quante leggi internazionali vengano violate. Ci sarà sempre chi troverà un modo per giustificare, relativizzare, minimizzare. Non tanto per difendere Hamas, ma per avere un pretesto per odiare gli ebrei. Oggi il vero scandalo, per una parte crescente dell’opinione pubblica, non è il terrorismo che massacra civili o usa scudi umani, ma chi osa difendere il diritto di Am Israel a esistere.
L’antisemitismo ha trovato una nuova legittimità, una nuova lingua, nuovi simboli. E ora che è tornato nello spazio pubblico, sarà difficile farlo arretrare. In questo senso, sì: Hamas ha vinto una battaglia.
Ma la guerra è ben più lunga.
Nel Seder di Pèsach si legge un monito antico e sempre attuale:
«Sheb’khol dor va-dor omdim aleinu lechalotenu, veHaKadosh Baruch Hu matzileinu miyadam»
– «In ogni generazione, si levano contro di noi per distruggerci, ma il Santo, benedetto Egli sia, ci salva dalle loro mani».
Non è una formula consolatoria. È un avvertimento. L’antisemitismo non è stata una parentesi — come si era ingenuamente creduto nel secondo dopoguerra — ma una costante della storia. Assume forme nuove, ma obbedisce a logiche antiche. Eppure, proprio in questa continuità risiede anche la speranza. Il fatto stesso che quelle parole vengano ancora recitate, generazione dopo generazione, dimostra che ogni tentativo di annientamento è fallito.
La storia dell’ebraismo è la storia di chi sopravvive a chi lo voleva cancellare. Ma oggi, mentre l’odio ritorna mascherato da militanza e giustificato da un nuovo linguaggio, servono lucidità, coraggio e una rinnovata volontà di affermare la vita contro la cultura della morte..
La vittoria di Hamas e il ritorno dell’odio legittimato La vittoria di Hamas e il ritorno dell’odio legittimato La vittoria di Hamas e il ritorno dell’odio legittimato