Mentre l’Iran si ritira in silenzio dalle retrovie siriane, la Turchia muove i suoi pezzi sulla scacchiera con una determinazione che non lascia spazio a dubbi: il vuoto lasciato da Teheran è un’opportunità troppo ghiotta per non essere colmata. E Ankara è pronta.
L’analisi – lucida e preoccupata – arriva da Smadar Perry, una delle voci più autorevoli del giornalismo israeliano, in un articolo pubblicato su Ynet, il sito del quotidiano Yediot Aharonot. Secondo le sue fonti, Israele guarda con crescente inquietudine all’espansione turca oltre il confine siriano: «Un pericolo forse peggiore di quello rappresentato finora dall’Iran».
Da mesi le forze iraniane e le milizie sciite alleate hanno ridotto la loro presenza attiva in Siria, complice la crescente pressione militare israeliana e i gravi problemi interni della Repubblica Islamica. Quel vuoto, oggi, sta attirando nuove ambizioni. Al centro di questo rimescolamento regionale, la Siria – logorata da anni di guerra, controllata in parte da Damasco, in parte da Mosca, Teheran, Turchia, Stati Uniti e milizie locali – rischia di diventare nuovamente terreno di scontro tra potenze.
In questa cornice si colloca il recente e riservatissimo incontro a Parigi tra il ministro israeliano Ron Dermer e l’omologo siriano Assad al-Sheibani, mediato dall’ambasciatore statunitense Thomas Barak. È il primo dialogo di alto livello tra Israele e Siria da 25 anni. Nessuna immagine, nessuna dichiarazione ufficiale, se non una laconica nota americana: «Clima positivo», «si proseguirà il dialogo». Ma a Gerusalemme e Ankara il messaggio è stato chiaro.
Recep Tayyip Erdoğan ha reagito con parole taglienti: chi prova a smembrare la Siria, ha detto, «si metterà nei guai con la Turchia». Il suo ministro degli Esteri, Hakan Fidan, è stato ancora più esplicito: ha accusato Israele di sfruttare le tensioni con i drusi del Golan per destabilizzare la Siria, e ha avvertito che «la Turchia non esiterà a intraprendere azioni militari».
Ma la vera mossa turca è dietro le quinte. Secondo fonti israeliane e internazionali, Ankara ha già avviato il trasferimento di armi, ufficiali e addestratori verso i territori siriani controllati da Damasco. Nessuna invasione aperta, ma un lento, chirurgico consolidamento: consiglieri militari, forniture tattiche, formazione tecnica. Il prossimo passo? Un possibile dispiegamento di truppe all’aeroporto militare di Al-Hama, non lontano dalla capitale.
Un simile accordo difensivo con il regime di Bashar al-Assad segnerebbe un clamoroso ribaltamento degli equilibri. Turchia e Siria, dopo anni di ostilità, potrebbero cooperare ufficialmente. Per Israele, si tratterebbe di una minaccia diretta: il Golan tornerebbe ad affacciarsi su un confine instabile, ma stavolta presidiato da una potenza NATO con ambizioni pan-islamiste e una lunga storia di ostilità più o meno latente.
Secondo Al-Monitor (sito di informazione online indipendente dedicato interamente al Medio Oriente, con sede a Washington D.C. e fondato nel 2012 da Jamal Daniel), la leadership turca mira a ottenere almeno un paio di risultati: rafforzare la propria influenza nel nord e nell’ovest della Siria – a scapito di curdi, drusi e alawiti – e indebolire la rete di controllo iraniana, oggi meno reattiva e più vulnerabile. L’obiettivo finale è chiaro: diventare l’interlocutore centrale nella ridefinizione del futuro siriano.
In questo scenario fluido, il rischio per Israele non è solo territoriale ma strategico. L’idea che la Turchia possa diventare in Siria un attore più influente dell’Iran cambia le priorità dell’intelligence. A Gerusalemme, fonti riservate parlano apertamente di Ankara come «minaccia emergente numero uno».
L’ambasciatore Barak ha tentato di rassicurare i presenti all’incontro di Parigi: «Gli Stati Uniti non interferiranno, ma terranno sott’occhio la situazione con molta attenzione». In realtà, Washington sembra oggi più preoccupata del dinamismo turco che delle residue ombre iraniane.
Per Gerusalemme, questa prospettiva apre un nuovo fronte. Per anni la priorità è stata contenere Teheran. Ora, la domanda è un’altra: quanto è vicina Ankara?
La Turchia allunga l’ombra su Damasco La Turchia allunga l’ombra su Damasco La Turchia allunga l’ombra su Damasco