Ieri in tutta Italia si sono tenute manifestazioni per la Global Sumud Flotilla e per Gaza, grazie alla mobilitazione della Cgil e di altre sigle sindacali di base, nonostante la Commissione di garanzia avesse dichiarato illegittimo lo sciopero generale «in violazione dell’obbligo legale di preavviso, previsto dalla legge 146/90».
La partecipazione è stata massiccia: centinaia di migliaia di studenti e «non scioperanti» hanno sostenuto le ragioni della protesta. Al di là delle controversie sulla legittimità e sui costi sociali dello sciopero – il blocco dei trasporti e dei servizi essenziali e di parte dell’attività economica nazionale – la domanda rilevante è: «Per cosa hanno manifestato quelle centinaia di migliaia di persone? Che cosa hanno chiesto? A chi l’hanno chiesto?».
Le risposte più ragionevoli sono chiare: non hanno manifestato per Gaza, ma contro Israele; non hanno chiesto la pace nella Striscia, ma la fine delle operazioni militari dell’Idf; non hanno chiesto nulla ad Hamas, ma tutto allo Stato ebraico e ai suoi alleati, a partire dagli Stati Uniti.
Se davvero avessero manifestato per accelerare la fine della guerra e della tragedia umanitaria, sarebbero partiti dal piano di pace presentato il 29 settembre alla Casa Bianca, ne avrebbero discusso i termini e preteso l’attuazione. Invece quel piano – sostenuto dalla stragrande maggioranza dei Paesi arabi e islamici, dai principali Stati europei e persino dall’Anp di Abu Mazen, ma osteggiato dalla Jihad islamica, dagli Houthi, dall’Iran e dall’ultradestra israeliana – è stato ignorato dalle piazze, quasi non esistesse.
Per larga parte della sinistra italiana, infatti, il piano non andava bene perché «calato dall’alto» e privo di certezze sul futuro dell’area. Dunque irricevibile. E dove indirettamente evocato, era inglobato nella denuncia contro Netanyahu e ricondotto alla tesi che ogni iniziativa che non imponga il ritiro incondizionato di Israele equivale a complicità con l’occupazione coloniale.
Molti manifestanti erano sinceramente angosciati per la sorte dei civili di Gaza, convinti che basterebbe la rinuncia israeliana alla «vendetta» del 7 ottobre per fermare la guerra. Ma il conflitto è cominciato con il pogrom del 7 ottobre, non con la reazione di Israele. Tornare allo status quo ante significherebbe tornare a una Gaza controllata da Hamas, pronta a pianificare altri pogrom. Persino Hamas oggi sembra consapevole che indietro non si torna.
E allora, per cosa hanno manifestato davvero? Per la «piattaforma della manifestazione», cioè per parole d’ordine imposte (genocidio, sterminio, crimini di guerra, antisionismo) e per l’esclusione di quelle interdette («Free Gaza from Hamas», sicurezza per Israele, lotta all’antisemitismo). È questa la grammatica che ha garantito unità e forza alle piazze.
Così, malgrado le aperture inattese di Hamas sul rilascio degli ostaggi e sul disarmo, le piazze hanno continuato a celebrare l’eroismo della Flottilla e a denunciare la «pirateria israeliana» in acque internazionali. Con la stessa leggerezza con cui, da vent’anni, sorvolano sulle stragi compiute da Hamas contro gli stessi palestinesi, ritenute «giustificate» nella lotta all’occupazione.
Qui emerge l’ipocrisia di una sinistra che, ben prima di Netanyahu e dell’attuale destra nazional-religiosa israeliana, bollava Israele – anche quello di Ben Gurion, Golda Meir, Rabin e Peres – come uno Stato illegittimo, occupante e segregazionista.
Cosa siano queste piazze lo dimostra un video postato su Instagram dal candidato Pd in Puglia Antonio Decaro, ritenuto tra i più moderati dirigenti democratici. Nel filmato lo si vede intonare con la folla lo slogan: «Bari lo sa da che parte stare, Palestina libera dal fiume fino al mare!». Non è stato colto da un cronista: ha deciso lui (o il suo staff) di pubblicarlo, convinto che fosse un messaggio popolare e unificante per il suo elettorato.
Ecco la piattaforma delle piazze per Gaza. Ecco il senso comune antisionista che intimorisce il buon senso democratico. È questa la ragione per cui una mediocre madonnina dell’odio umanitario, Francesca Albanese, è acclamata in piazza, mentre Liliana Segre è costretta a starne lontana, accusata di complicità con il genocidio.
Intanto, l’annuncio di Hamas sposta la questione ancora più in là, lontana dai riflessi pavloviani della sinistra italiana.
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