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La seduta drammatica dell’Onu

Ruben Della Rocca

Tempo di Lettura: 3 min
La seduta drammatica dell’Onu

La drammatica seduta straordinaria tenutasi lunedì sera all’ONU, durante la quale il Consiglio di Sicurezza è stato informato sulla situazione del conflitto a Gaza.

Un incontro che ha seguito un fine settimana in cui la rabbia e la tristezza hanno prevalso in Israele e in quella parte dell’Occidente che ancora sa riconoscere l’orrore, e nella quale sopravvivono valori morali e libertà.

I video raccapriccianti di due ostaggi, Rom Braslavsky e Eyatar David – tenuti in prigionia dagli aguzzini di Hamas e ridotti a scheletri umani dalla denutrizione – hanno fatto il giro del mondo, lasciando sgomenti.

Già sabato sera, durante la consueta manifestazione delle famiglie degli ostaggi a Tel Aviv, si è levata la voce di Ilay, fratello maggiore di Eyatar. Con parole struggenti ha ricordato la bontà d’animo del fratello, il suo essere persona buona e gentile, spezzando il cuore della folla commossa.

Ilay è stato poi invitato a parlare, in collegamento video, alle Nazioni Unite. Le sue parole sono state un intenso e accorato appello affinché il mondo e la comunità internazionale si facciano carico della crudeltà di quelle immagini e agiscano con urgenza per riportare a casa i rapiti, prima che Hamas li lasci morire di fame e di stenti. Le sue frasi sono state pietre: «Il silenzio del mondo sui rapiti di Gaza è complicità con Hamas».

Parole dure, alle quali hanno fatto eco quelle del ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar. Il suo è stato un vero e proprio j’accuse rivolto ai media e alla stampa internazionale, espresso platealmente sventolando una copia del New York Times. Si è chiesto sarcasticamente dove fossero le foto di Rom ed Eyatar in cattività. Ovviamente, non erano in prima pagina.

Il ministro si è scagliato anche contro quei Paesi – come Francia e Regno Unito – che, con i loro preannunciati riconoscimenti dello Stato di Palestina, avrebbero a suo dire boicottato e fatto naufragare i negoziati in corso a Doha per la liberazione degli ostaggi. Non è un caso, ha detto, che Hamas, come dichiarato da uno dei suoi leader Ghazi Hamad ad Al Jazeera, si senta «premiata» dopo gli attacchi del 7 ottobre e la deportazione dei rapiti a Gaza, grazie proprio ai riconoscimenti ufficiali di Macron e Starmer.

Fanno riflettere le parole dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti: Israel Shaked, sopravvissuto a Mauthausen, e Naftali Hurst, sopravvissuto ad Auschwitz e Buchenwald, che commentando il video di Eyatar David hanno rivissuto in quelle immagini il ricordo scioccante della loro prigionia. In lui hanno riconosciuto ciò che i boia nazisti chiamavano un Muselmänner: un prigioniero ormai prossimo alla morte per fame.

Questo è il sentimento che pervade Israele in queste ore. Un sentimento che dovrebbe scuotere anche le nostre coscienze.

È comprensibile la scelta di Israele di far scorrere le immagini del rapito Eyatar David sugli schermi luminosi di Times Square, a New York. Dovrebbe essere un monito da esibire anche nelle piazze delle capitali europee – Roma inclusa – magari affiancando a quelle immagini anche le foto dei piccoli Bibas, trucidati da Hamas.

Sarebbe un modo per onorare la memoria di tutti i bambini vittime dell’odio antiebraico, dimenticati da quanti – ogni giorno – ricordano soltanto le (altrettanto atroci) sofferenze dei bambini palestinesi. È la memoria selettiva, la più ipocrita.

Il 5 agosto Ariel Bibas avrebbe compiuto sei anni. Ma i nazi-islamisti non gli hanno permesso di arrivarci. Così come non hanno permesso al fratellino Kfir di compierne due. Si spezza il cuore solo a pensarlo.


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