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La scienza non si boicotta: errore storico del coordinamento Epr4Palestine

Augusto Sacco

Tempo di Lettura: 3 min
La scienza non si boicotta: errore storico del coordinamento Epr4Palestine

Il personale degli enti pubblici di ricerca italiani ha annunciato la nascita del coordinamento Epr4Palestine, che chiede la sospensione di ogni collaborazione con enti, università e aziende israeliane. Nel documento diffuso, si invoca non solo il blocco dei rapporti in corso, ma anche l’impegno a non avviarne di nuovi. Al tempo stesso, si propone di accogliere in Italia studiosi palestinesi colpiti dal conflitto.

Un’iniziativa che colpisce per la sua gravità. Perché la ricerca è — o dovrebbe essere — l’esatto contrario del boicottaggio: apertura, scambio, cooperazione. Non chiusura, non sospensione, non liste nere. La conoscenza non è un’arma geopolitica da piegare a logiche ideologiche. È, al contrario, il luogo dove i muri dovrebbero cadere per primi.

Il coordinamento Epr4Palestine prende a modello la cessazione dei rapporti con la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma il paragone non regge. In quel caso si trattava di un’aggressione diretta da parte di uno Stato, con misure decise a livello europeo e internazionale. Qui si chiede di isolare Israele — democrazia riconosciuta, sede di università leader mondiali, Paese che produce brevetti e innovazioni fondamentali — sulla base di una lettura ideologica del conflitto in Medio Oriente.

I ricercatori firmatari parlano di “etica” e “diritti umani”. Ma quale etica è quella che rinuncia a collaborare con chi sviluppa farmaci salvavita, tecnologie spaziali, ricerche ambientali avanzate? Quali diritti si difendono negando ai giovani scienziati italiani la possibilità di lavorare con centri di eccellenza come il Technion, l’Hebrew University o il Weizmann Institute? Boicottare Israele significa auto-infliggersi un danno scientifico, economico e culturale.

E ancora: davvero la via per sostenere i palestinesi è cancellare i rapporti con Israele? O non sarebbe invece più utile promuovere progetti comuni, finanziare iniziative di ricerca congiunta, sostenere percorsi di cooperazione accademica che avvicinino i due popoli anziché allontanarli? L’università, la ricerca, la scienza sono ponti. Demolirli significa assecondare le logiche di chi vuole solo divisione.

Il rischio è chiaro: trasformare gli enti pubblici di ricerca italiani in terreno di battaglia ideologica, anziché in laboratori di innovazione e progresso. Invece di rafforzare la nostra credibilità internazionale, la indeboliamo. Invece di attrarre cervelli, li respingiamo. Invece di dare un segnale di pace, diamo un segnale di chiusura.

In tempi in cui la tecnologia è la prima vera moneta geopolitica, l’Italia non può permettersi di recidere rapporti con chi è ai vertici mondiali dell’innovazione. Boicottare Israele significa boicottare noi stessi.

La ricerca, quella vera, non conosce frontiere. È apertura, scambio, contaminazione. L’appello di Epr4Palestine va nella direzione opposta: il rischio è di ridurre i nostri centri di ricerca a eco-camere ideologiche, invece che a fucine di conoscenza universale.

Se c’è una lezione che la storia insegna è questa: la scienza non si boicotta.


La scienza non si boicotta: errore storico del coordinamento Epr4Palestine
La scienza non si boicotta: errore storico del coordinamento Epr4Palestine