Il sequestro di oltre 750 tonnellate di armi iraniane destinate ai ribelli Houthi in Yemen, reso noto nelle scorse ore dalla rete israeliana N12 in un servizio firmato da Assaf Rosenzweig pubblicato il 17 luglio 2025, non è solo un episodio clamoroso ma molto di più. È la conferma definitiva, evidente e documentata, che la Repubblica Islamica dell’Iran continua ad agire come una vera e propria centrale globale del terrorismo, sotto le mentite spoglie di una potenza in cerca di dialogo e «pace regionale».
Il reportage di Rosenzweig – che cita fonti delle forze della Resistenza Nazionale yemenita, fedeli al governo dello Yemen del Sud – parla di una quantità di materiale bellico senza precedenti: droni, missili antinave e antiaerei, motori per centinaia di UAV, sistemi radar, apparecchiature di comunicazione e manuali operativi in lingua persiana. È proprio quest’ultimo dettaglio a segnare la svolta: non solo armi, ma anche addestramento, presenza sul campo, know-how operativo e controllo diretto da parte delle Guardie Rivoluzionarie iraniane (IRGC).
«È una pistola fumante», scrive N12. Più che pistola fumante verrebbe da chiamarla «santabarbara fumante». Ed è sicuramente l’ennesima prova che inchioda l’Iran alle sue responsabilità, davanti a una comunità internazionale che però continua a gigioneggiare, a guardare dall’altra parte, a simulare comportamenti di diplomatica prudenza.
A commentare per primo il valore di questa operazione è stato il generale Michael Eric Kurilla, comandante del CENTCOM, il Comando Centrale degli Stati Uniti. Le sue parole sono state nette e inequivocabili: «L’Iran è l’attore più destabilizzante della regione. Fermare il flusso di armi iraniane agli Houthi è cruciale per la sicurezza nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden».
Non si tratta di accuse senza fondamento, senza prove, senza certezze: le armi sequestrate – tra cui missili Tipo 358 di fabbricazione iraniana – sono le stesse impiegate dagli Houthi nei recenti attacchi contro navi commerciali nel Mar Rosso, in cui sono affondate due imbarcazioni e sono morte almeno quattro persone. Gli armamenti provengono dalla stessa filiera militare che Teheran ha creato per sostenere i suoi proxy: Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, milizie sciite in Iraq e Siria, e ora ancora più apertamente gli Houthi in Yemen.
Le foto dei manuali in persiano e delle componenti fabbricate da aziende collegate al Ministero della Difesa iraniano – diffuse da fonti militari USA – non lasciano spazio a dubbi. Siamo di fronte a un’operazione di guerra a tutti gli effetti, non certo a un episodio isolato.
Mentre a Vienna, a Ginevra o a Doha si parla di dialogo, di apertura iraniana, di tavoli negoziali sul nucleare o su una «distensione» in Medio Oriente, sul campo la teocrazia di Teheran continua a perseguire con coerenza glaciale la sua strategia di lungo periodo: armare, addestrare e dirigere milizie jihadiste che possano colpire Israele, minacciare la navigazione internazionale, destabilizzare i governi arabi moderati e tenere in scacco l’Occidente.
Questa doppiezza non è nuova. Ma la vicenda rivelata da N12, e confermata da agenzie internazionali come AP, Reuters e Anadolu (che peraltro è l’agenzia di stampa statale turca), la espone come mai prima d’ora. Il ritiro parziale degli ufficiali iraniani dallo Yemen, avvenuto tra marzo e aprile scorso – a seguito dei raid aerei israeliani e americani – è evidentemente durato poco. Le stesse fonti segnalano oggi un massiccio ritorno nel Paese delle IRGC e un’intensificazione delle attività di sostegno agli Houthi.
Il volto diplomatico dell’Iran, fatto di promesse di stabilità, si sbriciola davanti alla realtà: quella di un regime che continua a investire miliardi nel terrore, anche mentre la sua popolazione soffre per una crisi economica gravissima e un’oppressione crescente.
La domanda che emerge con forza è una sola: fino a quando il mondo intenderà far finta di non vedere?
Questo nuovo sequestro – il più grande mai avvenuto nel contesto yemenita – chiama in causa non solo le potenze regionali, ma anche l’Unione Europea, le Nazioni Unite, la diplomazia internazionale.
L’Iran non è un attore «razionale» che cerca la legittimità. È un regime ideologico e totalitario, che attraverso le sue milizie e i suoi progetti nucleari, cerca di modificare gli equilibri del mondo islamico e minacciare direttamente l’Occidente. La documentazione trovata a bordo della nave catturata – compresi i manuali operativi, le armi prodotte da aziende militari iraniane, e le tecnologie per i droni – costituisce un corpo di prova sufficiente per inserire nuovamente l’IRGC nelle liste delle organizzazioni terroristiche internazionali.
Ciò che è emerso dallo Yemen in questi giorni non può essere archiviato come «uno dei tanti episodi». È una svolta geopolitica, una rivelazione che smaschera una strategia di lungo corso.
E mentre Teheran continuerà a dichiarare la propria disponibilità al dialogo, continuerà, come ha sempre fatto, a seminare morte e terrore per procura.
L’Occidente può continuare a illudersi di poter «contenere» l’Iran, o può decidere finalmente di guardare in faccia la realtà: il regime iraniano non è un partner. È il regista occulto di una guerra ibrida globale, e finché non verrà chiamato a risponderne, le sue milizie continueranno ad agire indisturbate – da Sanaa a Gaza, da Beirut a Damasco.
La santabarbara dello Yemen. L’Iran e la guerra globale per procura La santabarbara dello Yemen. L’Iran e la guerra globale per procura La santabarbara dello Yemen. L’Iran e la guerra globale per procura