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⌥ La santa dimenticata

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Fino all’altro ieri Francesca Albanese campeggiava sulle prime pagine come una madonna pellegrina della causa palestinese: giudice arcigna di ogni nemico, profeta del “ma però”, sacerdotessa della colpa israeliana. Per lei il disastro non è cominciato il 7 ottobre, giorno dei massacri, ma il 9, cioè quando Israele ha osato rispondere. Una teologia dell’inversione morale recitata con voce da commissaria del Bene.

E adesso? Povera donna, cosa le resta? Una fama consunta dalle stesse infamie che l’hanno nutrita. Le sue parole, un tempo accolte come vangelo dai cortei, oggi risuonano come eco di un fanatismo stanco. I suoi compagnucci — quelli che le tenevano la fiaccola e l’applauso — ora la citano sottovoce, con l’imbarazzo di chi sa d’aver esagerato nel culto.

Così finisce la carriera delle sante d’occasione: bruciate dal fuoco che loro stesse hanno acceso. E quando il fumo si dirada, resta solo la cenere dell’irrilevanza.


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