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La resa di Hamas è l’unica via

Giovanni Tria

Tempo di Lettura: 2 min
La resa di Hamas è l’unica via

Scrivere di Gaza è difficile: occorre mantenere lucidità di fronte all’orrore, senza farsi travolgere dall’emotività. Ma è un dovere, soprattutto davanti a un’opinione pubblica che vive immersa in una narrativa distorta.

La guerra condotta da Israele nasce da un atto che non fu solo terrorismo: il 7 ottobre 2023 Hamas, governo ufficiale della Striscia di Gaza, lanciò un’operazione militare contro Israele, massacrando civili e rapendo ostaggi. Un atto di guerra, inedito in tempi moderni se non per opera dei nazisti, e sostenuto da parte della popolazione palestinese.

Ricordare l’origine del conflitto non significa pesare le sofferenze di allora contro quelle di oggi. Significa riconoscere che si tratta di una guerra e non di una rappresaglia. E in guerra l’obiettivo non può che essere la resa incondizionata del nemico: consegna delle armi e liberazione immediata degli ostaggi.

Questo obiettivo non è stato raggiunto, anche perché Israele è stata lasciata sola. Il Segretario generale dell’ONU ha offerto una giustificazione morale inaccettabile per il pogrom del 7 ottobre. Le democrazie occidentali hanno condannato l’attacco, ma evitano di chiedere con chiarezza la resa di Hamas. Persino alcuni Paesi arabi hanno assunto posizioni più nette.

L’ipocrisia dell’ONU e dei governi europei pesa sul popolo palestinese. Israele combatte un esercito che si nasconde nei tunnel, tra civili e strutture civili, come già accadde in altre guerre. Sconfiggere il nazismo costò bombardamenti devastanti e persino due bombe atomiche: orrori irripetibili, ma allora ritenuti necessari per porre fine alla guerra e abbattere un regime criminale. Hamas ha lo stesso ruolo del governo nazista: il suo disarmo e la sua resa incondizionata sono la condizione per la salvezza della popolazione palestinese, come lo fu per i tedeschi la sconfitta di Hitler.

Chi oggi chiede a Israele di fermarsi dovrebbe rispondere: è realistico ricostruire Gaza lasciando intatti i tunnel e le milizie di Hamas? È possibile portare aiuti umanitari con Hamas ancora in piena operatività? Chi dovrebbe, allora, garantire la sicurezza necessaria alla ricostruzione?

Non è compito di chi scrive definire piani militari o l’assetto futuro di Gaza. Ma è chiaro ciò che non si può accettare: permettere a Hamas di prolungare l’agonia di un popolo per il proprio tornaconto.


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