Dal 10 ottobre 2025, data di avvio del cessate il fuoco, nella Striscia sono entrati oltre 12.000 camion di aiuti: la media giornaliera è salita dai circa 180 di settembre a circa 600 in ottobre. Nell’ultima settimana censita (26 ottobre–2 novembre) ne sono stati registrati 4.208, inclusi 38 autobotti di carburante e gas: 763 il 26/10, 790 il 27/10, 825 e 918 raccolti per la distribuzione il 28 e 29/10, 912 il 30/10; il 31/10 e il 1/11 gli ingressi sono stati sospesi perché la quota settimanale era già stata raggiunta. Dall’inizio della guerra, gli aiuti superano 2,1 milioni di tonnellate via terra, aria e mare, con oltre il 60% dei transiti sul valico di Kerem Shalom. L’afflusso massiccio ha un effetto misurabile: i prezzi dei generi alimentari stanno scendendo.
La filiera degli aiuti è composita: meno del 20% dei carichi è stato gestito dalle agenzie Onu, il 30% dal settore privato e il restante 50% da Stati e organizzazioni internazionali. In questo quadro l’Unione Europea svolge un ruolo centrale: coordinamento, standard logistici, co-finanziamenti e meccanismi di controllo hanno reso possibile l’aumento del throughput ai valichi e la distribuzione interna. L’Italia, spesso ignorata nelle polemiche, è tra i principali contributori: fondi, beni di prima necessità, supporto medico e capacità di trasporto hanno inciso in modo concreto sull’incremento dei flussi. È un dato che smentisce le accuse, diffuse in ambienti propal, secondo cui Roma sarebbe inerte o complice; i numeri raccontano l’opposto.
Sul versante israeliano, i dati operativi indicano che Israele sta ottemperando perfettamente agli accordi di pace e alle intese umanitarie con i partner internazionali: corridoi aperti, priorità ai carichi sensibili, potenziamento dei controlli per accelerare l’ingresso senza rinunciare alla sicurezza. Più del 60% dei camion transita infatti da Kerem Shalom, snodo che Israele ha mantenuto funzionale proprio per facilitare l’afflusso. Va rimarcato che, laddove iniziative parallele hanno deluso – il riferimento è alla cosiddetta Flotilla, risultata un bluff perché priva di carichi umanitari significativi da consegnare ai civili di Gaza – è Israele a garantire la continuità della fornitura massiva di beni: cibo, medicinali, indumenti, combustibili.
C’è poi un punto geopolitico che merita chiarezza. I Paesi arabi della regione sono spesso in prima fila nelle condanne verbali di Israele, ma sul piano dei contributi materiali diretti alla popolazione di Gaza l’impegno appare intermittente e non paragonabile, per volumi e tracciabilità, a quello europeo. L’UE e gli Stati membri – Italia inclusa – sostengono i corridoi, finanziano il procurement e assicurano standard umanitari verificabili. È un divario che pesa: senza questa architettura, difficilmente si sarebbe passati dai 180 camion/giorno di settembre ai circa 600 di ottobre.
Infine, l’aspetto sanitario: dal 2024 circa 5.200 persone, tra adulti e bambini, sono state evacuate per cure; nella settimana considerata, 500 minori con i rispettivi accompagnatori hanno avuto accesso a percorsi medici dedicati. Anche qui, la cooperazione tra Israele, partner europei e attori umanitari ha reso possibile un risultato concreto, lontano dalle narrazioni ideologiche. I numeri mostrano che quando logistica, sicurezza e responsabilità politica convergono, l’assistenza arriva davvero alle persone.
La realtà sugli aiuti umanitari a Gaza
 La realtà sugli aiuti umanitari a Gaza