«La situazione nelle scuole è tragica, non esiste più alcun contraddittorio». Le parole di Debora Castelnuovo, una dei 107 genitori firmatari della lettera inviata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fotografano una deriva che non riguarda un singolo istituto, ma il modello culturale che sta prendendo forma nel sistema educativo italiano.
La lettera nasce in risposta al caso dell’Istituto Mattei di San Lazzaro di Savena, dove un incontro online tra studenti e Francesca Albanese ha acceso un conflitto politico e mediatico, culminato con le ispezioni disposte dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Ma ridurre tutto a uno scontro ideologico sarebbe un errore. Il punto sollevato dai genitori è più profondo e riguarda la funzione stessa della scuola.
Nella lettera indirizzata al Capo dello Stato, i firmatari denunciano come, negli ultimi due anni, la scuola abbia progressivamente smarrito il proprio ruolo di luogo di confronto e di analisi critica, lasciando spazio a narrazioni polarizzate e unilaterali. Un allarme che richiama le stesse parole pronunciate da Mattarella all’inaugurazione dell’anno scolastico: la scuola deve fondarsi sul rispetto e sulla valorizzazione della pluralità delle opinioni.
È su questo punto che si innesta il nodo centrale. La circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito del 7 novembre 2025 – richiamata esplicitamente nella lettera – ribadisce la necessità di garantire il libero confronto delle idee durante conferenze e iniziative scolastiche, attraverso una scelta qualificata e pluralista dei relatori. Una circolare che alcuni gruppi hanno bollato come “fascista”, nel tentativo di delegittimare proprio ciò che dovrebbe essere ovvio: il diritto degli studenti ad ascoltare più voci e a porre domande.
Quando in un dibattito non si accettano domande, spiegano i genitori, significa che non si vuole rispondere ai ragazzi. E quando si impedisce il contraddittorio, non si sta proteggendo la scuola, ma la si sta trasformando in uno spazio ideologico, dove la complessità del mondo viene ridotta a un racconto unico e parziale.
La storia insegna il contrario. Nell’Atene classica, il confronto dialettico era il cuore della formazione del cittadino: Socrate non trasmetteva dogmi, ma insegnava a pensare attraverso il dialogo. A Roma, Cicerone considerava essenziale la capacità di discutere tesi opposte per formare uomini liberi, non sudditi intellettuali.
Senza pluralità non esiste educazione, ma addestramento. Senza contraddittorio non si formano coscienze critiche, ma conformismo. E una scuola che rinuncia al confronto prepara studenti fragili e manipolabili, non cittadini consapevoli.
I genitori che hanno scritto a Mattarella non chiedono censura, né imposizioni. Chiedono equilibrio. Chiedono che i ragazzi possano “sentire entrambe le campane”. Chiedono, in fondo, che la scuola torni a essere ciò che dovrebbe essere: uno spazio di libertà, non di pre-concetti.
Perché la pluralità non è una minaccia. È un valore. E senza di essa, la scuola perde la sua missione più alta: educare alla libertà.
La pluralità è un valore: senza contraddittorio la scuola smette di educare.
La pluralità è un valore: senza contraddittorio la scuola smette di educare.

