Alla vigilia dei lavori dell’Assemblea generale, un gruppetto di attivisti propal si mette a giocare a pallone davanti all’Onu con la testa finta di Benjamin Netanyahu, il tutto certificato da video orgogliosi. Splendida bravata per chi ama il macabro, ma che è più che altro una carnevalata indecente.
Si può detestare Netanyahu, alcuni lo fanno con ragione, altri con bile, altri ancora con entrambe. Si può persino insultarlo, ma trasformare la testa di un uomo in palla sotto i piedi ha un che di ripugnante che niente ha a che vedere né con il dissenso né con la protesta, pur tostissima: è il gioco dei mozzateste che amano – oggi più che mai – essere ricordati in una fotografia virale.
E immaginate lo specchio: se fosse stata la faccia di Abu Mazen o di un leader palestinese a finire calciata, gli stessi campioni si sarebbero uniti a un coro di indignazione: «fascisti!», «schifosi!», «spietati!».
Il punto, però, non è la par condicio morale, ma un difetto di gusto che tradisce una ben più grave sostanza: quando la contestazione si fa bravata sadica, perde ogni autorità. E chi perde autorità lascia il campo aperto a chi preferisce riempire i vuoti a colpi di mitra. Non è un gran bello spazio per creare un mondo migliore.
La partita di pallone
La partita di pallone
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