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La pace non è un sogno: serve il coraggio di guardare oltre l’odio e la paura

Andrea Fiore

Tempo di Lettura: 3 min
La pace non è un sogno: serve il coraggio di guardare oltre l’odio e la paura

L’appello del cardinale Pierbattista Pizzaballa arriva in un momento delicato ma non privo di speranza per il Medio Oriente. Dopo l’accordo di Sharm el-Sheikh, molti intravedono una possibilità concreta di cambiare rotta. Il Patriarca, che vive da anni a Gerusalemme e conosce da vicino le fratture della regione, indica una via chiara: per costruire una pace vera servono leadership nuove, capaci di guardare avanti anziché restare prigioniere del passato.

In Israele, Benjamin Netanyahu ha sostenuto l’intesa, ma la sua figura continua a dividere. Una parte dell’opinione pubblica lo accusa di anteporre la propria sopravvivenza politica al bene comune; le proteste e lo scontro con la magistratura hanno eroso la fiducia nel governo. Sul fronte opposto, Yair Lapid si sta dimostrando un leader capace e può riuscire a unire l’opposizione: difende con decisione Israele, denuncia la propaganda estremista e lavora per ricomporre un campo alternativo. Benny Gantz resta stimato, ma la sua prudenza non appare il segno di un vero cambio di fase. La politica israeliana, pur tra segnali di movimento, paga ancora la fatica di un ricambio profondo.

Anche sul versante palestinese la situazione è complessa. La leadership di Mahmoud Abbas appare logorata e distante dalle aspettative dei giovani. I possibili successori non convincono: Hussein al-Sheikh è vicino al potere ma poco popolare; Marwan Barghouti è in carcere e non può agire; Mohammad Dahlan è in esilio e divide. Hamas, che controlla Gaza, è sempre più isolato e con scarsa credibilità internazionale. In questo quadro, immaginare un vero percorso politico comune resta difficile.

Le parole di Pizzaballa parlano a entrambi i popoli e alla comunità internazionale. L’Europa vede nell’intesa di Sharm un’opportunità da non sprecare, consapevole però che la pace non nasce dai documenti, ma dalla fiducia reciproca e dalla volontà di cambiare. Gli Stati Uniti cercano equilibrio e stabilità, ma sanno che senza leader capaci di dialogo e visione ogni progresso rischia di essere effimero. I Paesi arabi — Egitto, Giordania, Arabia Saudita — osservano con interesse, nella speranza che un clima politico nuovo possa giovare all’intera regione.

Il messaggio è semplice e profondo: la pace non si impone, si costruisce. Trattati e strette di mano non bastano se non cambia il modo di pensare di chi governa. Servono guide che credano nella convivenza, sappiano ascoltare e mettano la dignità delle persone prima del calcolo politico.

Oggi Israele e Palestina hanno davanti un’occasione rara. Dopo anni di sangue e sfiducia, il tempo potrebbe essere maturo per un nuovo inizio. Ma tutto dipenderà dalla capacità di rinnovarsi, di fare spazio a volti e idee nuove. La pace non è un’ingenuità: è un cammino esigente, ma possibile, se affidato a chi ha il coraggio di guardare oltre l’odio e la paura.


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