C’è qualcosa di irresistibilmente e involontariamente comico in questa storia newyorkese. Il nuovo sindaco, Zohran Mamdani — musulmano, progressista, auto-proclamato simbolo del multiculturalismo urbano — ha scoperto di non poter togliere la mezuzà dall’ingresso della Gracie Mansion, residenza ufficiale del primo cittadino della città. Uno scandalo, certo. Mezuzà: parola ebraica, oggetto minuscolo, simbolo millenario. Ma per lui, evidentemente, troppo ingombrante.
Pover’uomo: voleva solo “purificare” la soglia di casa, forse per renderla più inclusiva, più “neutrale”. Peccato che la legge, sionista pure lei, glielo impedisca. Le norme di tutela dei siti storici di New York vietano di rimuovere qualsiasi elemento originale, e quella piccola pergamena fu fissata mezzo secolo fa da Abraham Beame, primo sindaco ebreo della città.
Ecco la scena: Mamdani, la penna in mano, il manuale del politically correct sotto braccio, pronto a ridisegnare la storia — e la storia che gli ride in faccia. Una mezuzà resiste, testarda come le pietre di Gerusalemme. Non fa rumore, non protesta, non cancella nessuno. Ma resta. E per una volta, a New York, resta anche la dignità delle cose piccole che non chiedono di essere “spiegate”.
La mezuzà che sconfisse il sindaco
La mezuzà che sconfisse il sindaco
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