Hamas ha scavato, seppellito, riesumato e di nuovo seppellito una borsa. Dentro, secondo ogni evidenza, c’erano i resti di Ofir Sarfati, uno degli ostaggi israeliani uccisi a Gaza. Tutto filmato da un drone dell’IDF, che ha registrato ogni gesto, ogni pala di terra, ogni movimento di questa liturgia oscena. Poi il video è arrivato ai vertici israeliani, che hanno deciso di non intervenire subito: aspettare, osservare, lasciare che i terroristi si tradissero da soli. E così è stato.
Hamas ha inscenato davanti alle telecamere la “scoperta” dei resti di Sarfati, come se fosse un atto umanitario, una compassionevole concessione alla Croce Rossa. Un teatro dell’orrore preparato con cura, in cui i carnefici fingono di essere soccorritori, e la vittima diventa il pretesto per l’ennesima manipolazione. La famiglia del povero Ofir commenta: “Una spregevole messinscena progettata per sabotare l’accordo e impedire il ritorno dei rapiti”, il che dimostra il coraggio di dire le cose come stanno.
Con parole misurate, forse fin troppo, il governo israeliano parla di “chiara violazione dell’accordo”. La verità è che qui non si tratta solo di una violazione ma di una vera e spregevole profanazione. Quando un’organizzazione terroristica usa i resti di un ragazzo che ha massacrato al solo fine di giocare la sua partita sul campo mediatico, quando seppellisce e disseppellisce un corpo come se fosse un qualsiasi resto da pattumiera, allora non siamo più nel campo della politica o della diplomazia ma, ancora una volta, in quello della barbarie pura.
Gerusalemme sta preparando una “sanzione specifica” concordata con Washington. Tradotto in altri termini: acquisizione di nuovo territorio nella Striscia. In altre parole, un passo avanti sul terreno, perché ogni metro di sabbia a Gaza pesa ormai più di qualsiasi risoluzione. Ma anche qui le cautele americane non mancano: l’amministrazione Trump — che a dispetto dei toni resta legata a una linea umanitaria — teme che un’azione diretta possa colpire i civili più che Hamas.
È insomma la vecchia partita, giocata sempre allo stesso modo: Israele che misura le proprie mosse per non apparire spietato, e Hamas che approfitta di ogni esitazione per riscrivere la scena nel modo più sordido che un umano possa immaginare. Ma questa volta l’immagine è troppo nitida per essere ignorata. Un sacco nero, sepolto e riesumato sotto l’occhio freddo di un drone, racconta più di quello che vorremmo sapere e soprattutto di quello che i media occidentali vorrebbero sapere e raccontare. E la lezione, se mai di lezione si può parlare in un universo diventato analfabeta, cieco e muto, è che c’è chi è ancora capace di seppellire due volte la verità.
La messa in scena del macabro
La messa in scena del macabro

